
Argomento molto dibattuto in questo periodo di pandemia è il possibile ruolo preventivo e terapeutico delle vitamine nelle infezioni da COVID-19, in particolare, della vitamina D3 (colecalciferolo), la cui fonte principale è l’esposizione alla luce solare (meno rilevante quella derivante dagli alimenti). È di pochi giorni fa la notizia che l’uso “fai da te” degli integratori alimentari sia significativamente aumentato in questo periodo (vitamina C, vitamina D), grazie anche alla facilità con la quale è possibile reperirle in commercio. Oltre a intervenire nel metabolismo del calcio, la vitamina D3 sembrerebbe anche modulare la risposta immunitaria alle infezioni. Di qui, l’ipotesi di un possibile ruolo preventivo-terapeutico anche nella cura del COVID-19.
Proprio per cercare di verificare questa ipotesi, sono stati raccolti i dati esistenti in letteratura scientifica attraverso un’analisi aggregata dei lavori pubblicati fino ad oggi. L’analisi – la maggiore pubblicata – è stata condotta dalla UO di Oncologia dell’ASST Bergamo ovest, Presidio Ospedaliero di Treviglio-Caravaggio, in collaborazione con l’UO di Medicina Generale. La ricerca ha avuto come termine le pubblicazioni sui principali motori di ricerca scientifica (quali ad esempio PubMed) il 31/01/2021; a tale data, un totale di 43 lavori sono stati raccolti ed analizzati. I soggetti con valori insufficienti di vitamina D presentavano un rischio più elevato (1,26 volte maggiore) di contrarre l’infezione e, soprattutto, in questi pazienti la malattia si presentava in forma più severa (rischio 2,6 volte maggiore di intubazione o di accesso alla terapia intensiva). Allo stesso, modo i pazienti con valori inadeguati di vitamina D presentavano una più alta mortalità complessiva.
L’ASSUNZIONE DI VITAMINA D3 SERVE NELLA MALATTIA ACUTA?
I dati, seppur basati su osservazioni a posteriori, mostrerebbero che coloro che assumevano integratori a dosi variabili di vitamina D3 prima, o li hanno ricevuti durante il ricovero, presentavano un rischio notevolmente ridotto di mortalità o di contrarre forme severe di COVID. I risultati di questa ricerca indicano in primo luogo che è necessario mantenere un’adeguata concentrazione di vitamina D3, in particolare nei soggetti anziani, i più esposti a ipovitaminosi. “In questo senso, il ruolo dei colleghi della medicina di base è fondamentale per il monitoraggio e la prescrizione di tale integrazione. La vitamina D3 è economica, di facile assunzione (esistono varie formulazioni in gocce, fiale, compresse) e mutuabile, qualora i valori siano inadeguati. Non ha particolari effetti collaterali tranne che in caso di abuso. In secondo luogo, nei pazienti affetti da COVID-19 è importante identificare la carenza di vitamina D per poi poterla correggere nell’organismo, riducendo quindi il rischio di una evoluzione sfavorevole della malattia. Infine, alla luce delle evidenze della letteratura attuale, comprendente anche la nostra meta-analisi, sarebbe auspicabile poter includere tale esame nei protocolli clinico-terapeutici ministeriali e locali. In attesa di ulteriori ampi studi di conferma, possiamo concludere che l’integrazione con vitamina D3 può rappresentare, insieme alle misure preventive già in atto (isolamento, mascherine, etc.) e soprattutto ai vaccini, un’ulteriore ausilio a disposizione dei clinici.”