
- Il 57% delle persone con epilessia raccontate vive una vita “immobile”, confinata tra le mura domestiche;
- Anche il 61% dei loro famigliari e caregiver conduce una vita di autoreclusione e solitudine;
- A fronte di un’età media di 37 anni, il 60% delle persone con epilessia raccontate non è occupato e riporta difficoltà di inserimento lavorativo, o mantenimento dell’occupazione;
- La paura è l’emozione dominante nelle narrazioni, e trasversale a tutte le fasi di cura;
- I curanti dimostrano di avere un forte coinvolgimento nelle relazioni di cura, non solo basate sulla clinica, ma ampliate alla sfera del vissuto quotidiano ed emotivo. Questo carico emotivo necessita di essere preservato, per il benessere dei professionisti.
“Grande il desiderio dei medici esperti di epilessia di raccontare del proprio lavoro attraverso le storie complesse ed emozionanti delle persone con epilessia”, spiega la dott.ssa Maria Giulia Marini, Direttore Scientifico e dell’Innovazione dell’Area Sanità e Salute di Fondazione ISTUD. “Non sono solo medici del corpo, ma anche curanti degli aspetti psicologici, sociali, come l’inclusione a scuola e al lavoro. Hanno sviluppato una straordinaria sensibilità, e dovrebbero avere più équipe multidisciplinari al proprio fianco, con psicologi, assistenti sociali e volontari. Sono troppo soli in molte occasioni.”
“Le narrazioni scritte dai professionisti sono ricche, vere, colme di elementi concreti su cui basarsi per migliorare la qualità dei supporti, e quindi della vita con l’epilessia”, commenta il prof. Oriano Mecarelli, Presidente della LICE. Le storie di cura sono state analizzate secondo le metodologie della Medicina Narrativa, e poi condivise in una Consensus Conference che ha visto parte degli epilettologi “narratori” coinvolti in un progetto di trasformazione dei testi in azioni concrete, da attuare su più livelli. “La disinformazione crea discriminazione”: questo il principio di fondo da cui sono scaturite tutte le azioni elaborate e condivise dal gruppo di lavoro, che ruotano intorno alla necessità di “sdoganare” l’epilessia dallo stigma e dal taboo di cui è ancora permeata. Gli epilettologi coinvolti si sono impegnati a contribuire a rafforzare e canalizzare maggiormente l’informazione e la rassicurazione: “Bisogna sapere che le epilessie si possono gestire, nei diversi contesti di famiglia, lavoro, tempo libero, e bisogna sapere come”. Hanno poi proposto l’istituzione di un gruppo di lavoro multidisciplinare che metta insieme epilettologi, medici legali, medici del lavoro, associazioni, per definire in maniera uniformata i livelli di malattia, e le sue corrispettive possibilità. “Fondamentale riscoprire il ruolo originario delle associazioni, di supporto e sollievo per le famiglie che vivono l’esperienza dell’epilessia. E poi ci sono le tutele legali esistenti da far conoscere, per passare da pochi casi di best practice alla prassi di una reale inclusione organizzativa delle persone con epilessia nel mondo del lavoro. Infine, anche le parole hanno la loro importanza, e per questo si lavorerà alla diffusione di un nuovo linguaggio, per superare lo stigma e la paura: l’epilessia non è un male!.”