Tumore del fegato. “In Emilia-Romagna nuove linee guida per terapie e Oncologia di prossimità”

Centri di eccellenza vicino casa dei pazienti e team multidisciplinari di professionisti per migliorare la presa in carico e le cure delle persone affette da tumore del fegato, seguendo le nuove Linee Guida sull’Epatocarcinoma (HCC) approvate da 10 Società scientifiche, in collaborazione con le Associazioni dei pazienti. Per fare il punto sulla riorganizzazione della Sanità dell’Emilia-Romagna, si è svolta a Bologna la quarta tappa del roadshow dal titolo Uniti e Vicini ai Pazienti con Epatocarcinoma, promosso da Roche con il patrocinio di EpaC onlus. L’HCC è uno dei tumori più aggressivi e una delle prime cause di morti oncologiche nel mondo. In Italia si stimano 12.100 nuove diagnosi all’anno, con una sopravvivenza a 5 anni del 22%. In Emilia-Romagna sono circa 800 le nuove diagnosi ogni anno; 600 i decessi. Oltre il 70% dei tumori primitivi del fegato è riconducibile a fattori di rischio come epatite o malattie metaboliche. Si stima che solo nel Nord Italia circa 1/3 dei casi di epatocarcinoma dipenda dall’abuso di alcol. Ogni anno il 2% dei soggetti a rischio, cioè 1 paziente ogni 50, sviluppa il tumore. E sono milioni gli italiani considerati a rischio per patologie o disturbi al fegato. Si stima inoltre che nell’arco di 10 anni l’incidenza prevalente dell’epatocarcinoma sarà sempre più su base metabolica. “Nella fascia d’età 60-69 anni oggi rappresenta la seconda causa di morte nel maschio italiano”, dichiara Fabio Piscaglia, direttore Medicina Interna, Malattie Epatobiliari e Immunoallergologiche dell’Irccs-Policlinico Sant’Orsola di Bologna. “È la fascia d’età in cui si sviluppa più frequentemente e con una mortalità molto alta.”

“[L’epatocarcinoma] nasce in maniera silenziosa, spesso all’interno di altre malattie del fegato”, continua Piscaglia. “Se uno non sa di essere a rischio, purtroppo lo trova in fase già avanzata e questo limita molto le possibilità di cura. [La miglior cura] è sapere di essere a rischio e fare un’ecografia ogni 6 mesi. Rispetto anche solo al decennio scorso, oggi abbiamo cure migliori, che allungano la vita con una buona qualità. [Dal punto di vista chirurgico] non si può portar via tutto l’organo, perché senza fegato non si vive. Ma ci sono altre modalità, come la radioterapia o la tecnica di ‘bruciare’ il tumore nel punto in cui si trova, fino ad arrivare al trapianto. Inoltre, negli ultimi 5 anni è cambiato in modo sostanziale il trattamento farmacologico. Fino a 15 anni fa non c’erano farmaci efficaci; oggi ne abbiamo di diverse tipologie e i più recenti sono basati sull’immunoterapia.”

“Il trattamento del tumore primitivo del fegato è la patologia esemplare su come devono essere integrate diverse discipline”, dichiara Carmine Pinto, direttore Oncologia Medica dell’Irccs di Reggio Emilia. “Si parte infatti dalla prevenzione, informando e sensibilizzando le persone sui rischi legati ad esempio all’abuso di alcol e sugli stili di vita sani. Ci sono poi la vaccinazione contro l’epatite B e i trattamenti antivirali, la diagnostica, fino ad arrivare alla radioterapia, chirurgia oncologica, trattamento farmacologico e trapianto. Occorre integrare tutte queste figure in percorsi ben organizzati a livello di area vasta e della nostra rete oncologica regionale, che è nata nel dicembre scorso per dare al paziente da qualunque punto d’accesso il trattamento più appropriato e più innovativo”, continua. “[In Emilia-Romagna] siamo arrivati un po’ per ultimi – dichiara Mattia Altini, direttore Assistenza Ospedaliera della Regione – ma abbiamo potuto raccogliere le migliori esperienze del Paese. Abbiamo varato una struttura che consente ai nostri professionisti di seguire percorsi standard. Il modello è quello del comprehensive cancer care network, e ci siamo spinti fino a identificare per l’epatocarcinoma aree territoriali che non costringano i cittadini ogni volta verso Centri di riferimento, ma che consentano loro di svolgere attività anche nelle Case di Comunità. Siamo nell’ambito dell’Oncologia di prossimità, un grande passo avanti che farà sentire accompagnati i cittadini.”

EpaC ha svolto un sondaggio su 150 persone affette da tumore del fegato: “Il 63% si è rivolto a più strutture prima di avere una diagnosi completa”, afferma il presidente, Ivan Gardini. “Vuol dire che hanno fatto ‘il giro delle 7 chiese’. I pazienti hanno bisogno di conoscere percorsi chiari e rapidi, per raggiungere facilmente le strutture d’eccellenza dove possono essere presi in carico a 360°. Inoltre, il 21% degli intervistati non sapeva di essere malato prima della diagnosi. E qui c’è un altro grande problema di formazione dei Medici di famiglia, che spesso non sanno individuare la patologia”, dichiara. “Ma intanto il tumore va avanti.”

“Un’altra soluzione – afferma Piscaglia – è cambiare approccio chiamando direttamente le persone a rischio, senza aspettare che siano loro a svolgere i controlli. Essendo una patologia silenziosa, dovremmo passare da un sistema passivo a un sistema attivo, senza però suscitare allarmismo generale nei pazienti”, sottolinea. “La medicina di iniziativa – aggiunge Altini – è una strada per noi da percorrere con forza, ma la legge sulla privacy la mette in discussione. Siamo al lavoro per superare assetti normativi che ci mettono in difficoltà.” Un altro fronte da implementare, suggerisce Pinto, è la rete di ricerca a livello regionale: “Dovremmo mettere in comunicazione i vari laboratori”, afferma. “Abbiamo bisogno di infrastrutture condivise e di fare ricerca in rete; abbiamo le strutture e le competenze d’eccellenza per farlo.”