
Ogni specialista che graviti intorno al mondo delle patologie della mano, ortopedico, fisiatra, medico dello sport, non può dirsi esente dal dover avere nozioni sufficienti per gestire un trauma semplice o complesso del polso, impostando la fase di urgenza o scegliendo la soluzione più idonea a procedere. “Gli eventi traumatici al polso sono appannaggio di una popolazione sia giovane che anziana e vengono trattati non chirurgicamente nei comuni centri di traumatologia. Con esiti negativi perché è ormai riconosciuto che queste fratture necessitano di un trattamento chirurgico di sintesi per ripristinare la normale anatomia e dare così un buon movimento”, spiega il dott. Luciano Cara, Vicepresidente e futuro Presidente della Società Italiana di Chirurgia della Mano (SICM). “Tutto questo non accade perché i chirurghi delle ortopedie danno maggiore importanza a patologie più complesse e, trattando queste condizioni in maniera errata, le ingessano. Volendo fare qualche esempio di complicanze, possiamo citare la mal-union (unione scorretta), la sofferenza dei nervi periferici, mediano e ulnare, o la pseudoartrosi della frattura che non consolida adeguatamente. Poi abbiamo la cattiva sintesi, le deformità e la riduzione del movimento e della forza di presa. Noi come SICM stiamo cercando proprio di dare maggior importanza e riconoscimento nazionale ai Centri di Chirurgia della Mano.”
“Nell’ultimo decennio si è capito che questi traumi vanno gestiti chirurgicamente e non col gesso. Perché soltanto l’intervento permette una ricostruzione anatomica affidabile”, spiega il prof. Giorgio Pajardi, direttore dell’UO di Chirurgia e Riabilitazione della Mano dell’Ospedale San Giuseppe, Università di Milano. “Se per gestire una frattura del radio si ricorre al gesso che lo fa guarire compattato, ovvero più corto del normale, l’esito sarà un polso dolorante che non funziona correttamente. In quel caso, la soluzione è ‘romperlo’ nuovamente e inserire una placca. Con una riparazione anatomica corretta, invece, il paziente potrà muovere di nuovo il polso in tempi brevissimi. La maggior parte delle fratture andrebbe, quindi, operata. È importante valutare anche lo stato dei legamenti. Quando la dinamica fa pensare che possano esserci delle lesioni associate, a fine intervento, una volta messa la placca, si deve procedere con una valutazione artroscopica, così da procedere di conseguenza.”
“La patologia del polso, già complessa da diagnosticare, lo è ancora di più da gestire”, afferma il dott. Andrea Ghezzi, responsabile del servizio di traumatologia del polso e chirurgo della mano presso l’Ospedale San Giuseppe. “Spesso, proprio per la complessità anatomica e meccanica a livello del carpo, i trattamenti conservativi lasciano sintomatologie persistenti che non portano alla guarigione. Dalla mia esperienza, non ho mai trovato, in Italia come all’estero, un convegno in cui si parlasse di come approcciare in modo corretto le complicanze chirurgiche o post chirurgiche del polso. Perciò, abbiamo deciso di occuparci di questa problematica, invitando relatori di fama nazionale e internazionale.”