La terapia intensiva è un ambito delicato sia dal punto di vista della gestione dell’assistenza che dal punto di vista della comunicazione: “A che punto è il complesso argomento della ‘comunicazione in terapia intensiva’, che coinvolge operatori, organizzazioni e famiglie? Quali sono oggi (dopo la pandemia) le ‘lezioni’ che abbiamo imparato’ in questo ambito?”. Sono tra le domande emerse nel corso del recente Congresso ICARE 2022. “La prima considerazione è che noi anestesisti-rianimatori siamo stati il fronte avanzato delle cure nel lungo e drammatico periodo pandemico”, dichiara Gianpaola Monti, responsabile del Comitato Comunicazione SIAARTI. “Nessun’altra professione ha avuto il tipo di contatto – spesso drammatico – con pazienti e famiglie che abbiamo avuto noi”, continua. “Una pandemia che se da una parte sembrava richiamare tutti i nostri sforzi in una sola direzione, quella dell’assistenza clinica, dall’altro lato ha messo in primo piano il rapporto medico-paziente, ed il rapporto medico-famiglia come caposaldo del percorso di cura. Forse grazie a questo uragano ci siamo immedesimati meglio nei nostri pazienti ‘spaventati’ e senza la vicinanza dei loro cari e nei loro familiari impossibilitati, nelle prime fasi della pandemia, all’accesso in ospedale e a conoscere chi avesse in cura i loro cari se non attraverso una voce telefonica spesso frettolosa.”
“L’uso di strumenti digitali ha permesso di implementare in modo concreto ed inedito il concetto di ‘terapia intensiva aperta’ nei momenti più critici, visto che con le video-chiamate ci siamo presentati con i nostri infermieri/fisioterapisti alle famiglie con i nostri volti a volte stanchi, ma pieni di speranza”, continua Monti. “Abbiamo illustrato, in modalità che prima non avremmo immaginato, il luogo di cura e ricovero; abbiamo provato a ricreare un legame di comunicazione fra i pazienti e i loro cari il più possibile vicino a quello che avrebbe dovuto essere. Non è stato facile per i carichi di lavoro ma abbiamo così mantenuto le Terapie Intensive aperte anche se solo per poche ore con ospedali spesso semi chiusi.”
L’apertura delle terapie intensive rientra peraltro in un approccio specifico promosso da SIAARTI, che già dal 2017 aveva promosso il progetto Intensiva 2.0, percorso che coinvolge più società scientifiche allo scopo di “verificare su larga scala i risultati ottenuti da uno studio preliminare che ha dimostrato come interventi specifici sulla comunicazione possono contribuire a migliorare la comprensione e il benessere psicologico dei familiari dei pazienti ricoverati in terapia intensiva”, spiega Giovanni Mistraletti, coordinatore Sezione Bioetica della SIAARTI, tra i promotori del progetto. “L’appropriatezza scientifica nel dover ‘aprire’ i reparti di Terapia Intensiva alle visite dei familiari non è oggi più in discussione. Ben diverso è il cammino che ci aspetta dal punto di organizzativo per passare dalle parole ai fatti. Gli ultimi anni di compresenza con il coronavirus ci hanno insegnato quanto è importante e irrinunciabile – anche per noi medici – il contatto umano, la presenza fisica dei familiari nelle cure offerte ai pazienti critici. D’altro canto – prosegue – le necessarie limitazioni alla circolazione delle persone negli ospedali hanno fatto regredire moltissimo l’abitudine alla vicinanza, tanto da far perdere diffusamente questa consapevolezza nella società.”
I familiari possono essere una risorsa, per esempio nella fisioterapia o nella terapia occupazionale delle persone ricoverate? Come si possono introdurre anche in Italia le attenzioni di engagement e empowerment dei familiari, di cui si parla nelle Linee Guida Internazionali dal 2018? “Il tema dell’umanizzazione delle cure comprende le rispose a tutti questi quesiti ed è di fondamentale importanza”, dichiara ancora Mistraletti. “Umanizzazione delle cure oggi significa anche realizzare terapie intensive ‘veramente aperte’. È un’occasione di civiltà e di miglioramento della comprensione delle motivazioni profonde delle nostre scelte cliniche quotidiane.”
“Le organizzazioni sanitarie ce la faranno a sviluppare questi nuovi paradigmi relazionali? Questo forse è l’ostacolo più importante – conclude Monti – perché creare nuove modalità di comunicazione significa prima di tutto creare innovative basi di cultura organizzativa affinché tutto questo possa avvenire. Noi siamo impegnati affinché questo sia implementato in tutto il Paese in tempi brevi.”