Vivere più a lungo, ma soprattutto vivere in buona salute. È il sogno di tutti e sono molti gli scienziati che da decenni si dedicano alla ricerca di una sorta di “elisir di lunga vita”, cercandolo nelle pieghe del DNA (in particolare nei telomeri e nei meccanismi di protezione dalla metilazione) e nell’alimentazione. Già Ippocrate invitava a fare del cibo la propria medicina, mentre un detto di saggezza popolare sostiene che “a tavola non si invecchia”. Ma è proprio così? “Fin dall’antichità, e basta rileggere il mito di Aurora e Titone, era ben chiara la differenza tra longevità ed eterna giovinezza”, dichiara il prof. Alessandro Laviano, associato di Medicina Interna presso Sapienza Università di Roma. “Oggi, l’obiettivo ‘eterna giovinezza’ è stato soppiantato da quello di ‘invecchiamento di successo’ (healthy ageing), cioè dall’aumentare il numero degli anni vissuti in salute (healthspan). L’invecchiamento di successo è considerato oggi una priorità per tutti i Paesi ad elevato income, poiché l’invecchiamento della popolazione è correlato ad una maggior incidenza di malattie cronico-degenerative e disabilità, e ha quindi un impatto gravoso sulla spesa sanitaria e sul welfare. È dunque necessario dare spazio a tutte le strategie che rallentino l’invecchiamento biologico, permettendo un invecchiamento di successo.”
I meccanismi responsabili dell’invecchiamento sono in gran parte noti e si cominciano a mettere a punto anche alcune strategie per contrastarlo e modularlo. Tra queste, una delle più importanti è proprio l’alimentazione. O meglio, l’alimentazione contenuta, cioè mangiare meno, senza arrivare alla denutrizione e deprivarsi di nutrienti essenziali. I meccanismi di protezione finora individuati sono tutti legati alla restrizione calorica. Limitare l’apporto di cibo infatti fa entrare le cellule in modalità “protezione” e questo consente loro di resistere meglio agli insulti esterni. Allo stesso tempo, le cellule “a dieta” soddisfano le proprie necessità attraverso una sorta di auto-cannibalismo (autofagia) delle componenti invecchiate e poco funzionali. In pratica, la restrizione calorica attiva una sorta di “pulizia interna” che, oltre a rimuovere componenti deteriorati e potenzialmente pericolosi, stimola anche la rigenerazione cellulare. Ma cosa si intende esattamente per “restrizione calorica”? Per ottenere effetti benefici, è sufficiente ridurre del 20-40% le calorie introdotte con la dieta. Mangiare di meno (ma sempre in modo controllato) induce un reset del nostro metabolismo ad un livello più basso; e consumando di meno, si determina minor usura. “Da un punto di vista pratico, la restrizione calorica si può attuare secondo diversi approcci, da adattare alle esigenze del singolo e alle sue possibilità”, afferma il prof. Giorgio Sesti, presidente della Società Italiana di Medicina Interna. “Ma va detto che si tratta di estrapolazioni teoriche di quanto osservato su modelli cellulari e animali oltre che su marcatori surrogati di longevità in salute. Al momento infatti per nessuno di questi approcci esiste la dimostrazione scientifica che ne documenti in modo definitivo l’efficacia nell’allungare la vita in salute, perché i risultati degli studi in corso si potranno osservare solo tra qualche decennio. Alcune evidenze preliminari che questo accada anche nell’uomo vengono dallo studio Calerie, di recente pubblicato su Nature Aging: una restrizione calorica del 25% rallenta i processi di metilazione del DNA (legati a tanti processi di invecchiamento) già dopo appena due anni. Ma il cibo, al di là delle calorie, ha anche un elevato valore simbolico, per non parlare del suo effetto ‘consolatore’ (comfort food); e questo rende molto difficile seguire un regime di stretta restrizione calorica per lunghi periodi di tempo. Per questo, gli scienziati di settore sono alla ricerca di modalità alternative e meno penalizzanti. Una di queste è la restrizione selettiva degli alimenti ‘ultra-raffinati’.”