
Pubblicato su Alzheimer’s&Dementia, proprio nella Settimana Mondiale del Cervello, lo studio Cognitive Resilience/Reserve: Myth or Reality? A Review of Definitions and Measurement Methods, a cura della dott.ssa Chiara Pappalettera, della dott.ssa Claudia Carrarini, della prof.ssa Francesca Miraglia, del prof. Fabrizio Vecchio e del prof. Paolo Maria Rossini, del Dipartimento di Neuroscienze e Neuroriabilitazione e del Laboratorio di Brain Connectivity dell’IRCCS San Raffaele di Roma, in collaborazione con l’Università Cattolica del Sacro Cuore e l’Università eCampus. La revisione esamina i meccanismi di resilienza del cervello all’invecchiamento fisiologico e patologico, analizza dunque il concetto di riserva cognitiva, in particolare nel contesto della demenza e delle sue fasi iniziali.
In ambito medico e biologico, spiegano gli autori, il termine riserva indica la capacità di mantenere una specifica funzione (a livello cellulare, organico o sistemico) a fronte di un danno acuto o cronico. Nella più ampia e generale definizione di riserva possiamo distinguere la riserva cerebrale (brain reserve, BR) e la riserva cognitiva (cognitive reserve, CR): la BR potrebbe essere considerata l’“hardware”, mentre la CR il “software”. “La recente ricerca sul trattamento delle demenze si è concentrata principalmente sull’identificazione e la modifica dei fattori di rischio, con una minore enfasi sulla comprensione e potenziamento dei fattori protettivi”, affermano gli autori dello studio. “Individui con una CR più elevata sono in grado di mantenere le funzioni cognitive nonostante i danni cerebrali dovuti a neurodegenerazione, mentre coloro con una CR più bassa sono più inclini a un declino cognitivo.” Gli individui con una ricca dote di BR e CR, quando colpiti dai cambiamenti patologici neurodegenerativi, avranno dunque un’insorgenza della demenza ritardata nel tempo e con progressione più lenta. Ma che cosa accade nei soggetti che presentino individui CR elevata e BR bassa? Quale fattore prevale? “In tali casi, è concepibile che possano affrontare un ritardo nell’insorgenza delle malattie neurodegenerative grazie agli effetti protettivi della CR”, proseguono gli autori. “Tuttavia, una volta che i sintomi si manifestano, la limitata BR potrebbe ostacolare la capacità strutturale di compensare i danni. Questo scenario potrebbe portare a un rapido declino cognitivo nonostante l’insorgenza ritardata. Dall’altro lato, cosa accade quando sia la CR che la BR sono basse? Gli individui in questa categoria potrebbero essere più suscettibili a un esordio precoce di malattie neurodegenerative, poiché una CR bassa suggerisce una mancanza di capacità per meccanismi compensatori. Inoltre, una bassa BR implica una resilienza strutturale limitata contro cambiamenti patologici. Pertanto, questa doppia carenza potrebbe contribuire a un esordio precoce e ad una progressione rapida della malattia.”
La riserva cerebrale tende inoltre a rimanere relativamente stabile durante tutta la vita di un individuo; al contrario, quella cognitiva mostra forte dinamicità, influenzata da una stimolazione cognitiva continua, dall’istruzione e dalla partecipazione a attività mentalmente stimolanti. “Le caratteristiche socio-comportamentali spesso si basano su dati auto-dichiarati, introducendo il potenziale errore”, affermano i ricercatori dell’IRCCS. “Gli individui potrebbero non ricordare o riportare con precisione le proprie attività cognitive, l’istruzione o il coinvolgimento in attività intellettualmente stimolanti. Inoltre, l’interpretazione dei fattori socio-comportamentali è soggetta all’influenza di contesti culturali e sociali. La definizione di cosa costituisca un’attività mentalmente stimolante può variare tra le popolazioni, influenzando così la ‘generalizzabilità’ dei risultati. Le misure con parametri neuropsicologici, sebbene preziosi, possono concentrarsi prevalentemente su specifici domini cognitivi, rischiando di trascurare lo spettro più ampio delle abilità cognitive che contribuiscono alla CR. Inoltre, la variabilità intrinseca nelle prestazioni, derivante da fattori come la fatica, l’umore o influenze esterne, potrebbe compromettere la precisione delle misurazioni cognitive.”
La revisione ha dimostrato la complessità delle misurazioni attuali della CR e la natura sfuggente del concetto stesso. Armonizzare il campo attraverso un approccio integrato e multidisciplinare è essenziale per stabilire metodologie coerenti e facilitare la collaborazione tra le comunità scientifica e clinica. Nonostante le limitazioni sopra menzionate, si rileva un crescente e generale consenso sul fatto che la CR sia uno dei più importanti fattori protettivi contro i processi neurodegenerativi. Qualsiasi intervento mirato a stili di vita e fattori modificabili in grado di potenziare la CR – concludono – potrebbe migliorare significativamente la resilienza cerebrale negli anziani e contribuire a valutare e integrare l’efficacia dei trattamenti farmacologici e non farmacologici.