L’emofilia è una malattia del sangue che interessa solo i maschi; è dovuta alla carenza del Fattore VIII (emofilia A) e del fattore IX della coagulazione (emofilia B) a causa di un difetto a livello del gene. La riduzione di uno dei Fattori della coagulazione circolante causa una ridotta capacità di arrestare il sanguinamento con conseguente aumento del rischio emorragico sia in seguito a ferite o traumi sia spontaneamente. Secondo i risultati della ricerca GABR presentati al X Congresso annuale dell’Associazione Europea per l’Emofilia (European Association for Haemophilia and Allied DisordersEAHAD) a Parigi (EAHAD) l’incidenza dell’emofilia potrebbe essere tre volte superiore alla corrente stima globale e che ogni 3-15 secondi si verifica un episodio di sanguinamento. Questo risultato si basa su dati esistenti che mostrano come solo il 25% dei pazienti emofilici riceve informazioni adeguate sul trattamento. I risultati completi del modello, che sarà pubblicato nel corso del 2017 con lo scopo di mettere in evidenza i significativi bisogni insoddisfatti, evidenziano la necessità di espandere le cure dell’emofilia e migliorare le strategie relative in tutto il mondo.
“Sappiamo che migliaia di pazienti emofilici continuano a sanguinare regolarmente, in particolare nelle regioni meno curate del mondo, cosa che ha un impatto notevole per la salute delle loro articolazioni, la qualità di vita e la capacità di lavorare o andare a scuola”, afferma Alok Srivastava, MD, co-autore della ricerca GABR e professore di medicina presso il Christian Medical College, Vellore in India. “Dobbiamo continuare a investire nella raccolta dei dati, in particolare dei pazienti che hanno riportato risultati in termini di tasso annuale di sanguinamento (ABR) per capire al meglio la vera esperienza del paziente e migliorare gli standard di cura a livello globale.”
“I pazienti emofilici in tutto il mondo hanno bisogni complessi, che non possono essere soddisfatti con approccio unico valido per tutti (one-size-fits-all)”, dichiara Leonard Valentino, M.D., Global Head of Hematology Medical Affairs, Shire. “In qualità di leader globale nelle malattie rare e in particolare nell’ematologia, Shire è impegnata nella ricerca e nell’innovazione per migliorare l’assistenza ai pazienti.”
In occasione del Congresso EAHAD Shire ha inoltre presentato dati – tra cui un caso clinico in Emofilia Acquisita A proveniente dall’Italia – che confermano il profilo di sicurezza e l’efficacia del proprio portfolio di terapie sostitutive del fattore per i pazienti con emofilia: dall’emofilia a all’emofilia acquisita, compresi i trattamenti per pazienti con inibitori.
L’emofilia è presente fin dalla nascita e si manifesta entro i primi anni di vita; più è grave la malattia più è facile che si manifesti precocemente, di solito quando il bambino inizia a muoversi in maniera autonoma. L’emofilia è una malattia “diaginica” ovvero una malattia la cui trasmissione è legata al cromosoma X, quindi in genere solo i maschi sono malati, mentre le femmine possono essere “portatrici sane” (possiedono il gene difettoso e possono trasmetterlo ai figli, ma in genere presentano difetti sintomatici della coagulazione in prima persona). L’emofilia è considerata una malattia rara perché interessa circa una persona ogni diecimila, ma il suo impatto sulla vita dei pazienti e sui sistemi sanitari è tutt’altro che trascurabile. Secondo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), ogni anno, nel mondo nascono circa 10 mila bambini emofilici, mentre gli ammalati complessivi sono circa 400 mila.
Curiosità
L’emofilia è una malattia diventata “famosa” soltanto nella seconda metà dell’Ottocento, quando la Regina Vittoria, sovrana inglese portatrice sana della malattia, ha inconsapevolmente diffuso il gene del Fattore di coagulazione difettoso tra i regnanti europei, spesso imparentati tra loro per ragioni economico-politiche e di lignaggio. All’epoca, la malattia era molto temuta poiché, in mancanza di terapie adeguate, le persone che ne soffrivano erano esposte a un elevato rischio di emorragie e complicanze invalidanti, soprattutto a livello delle articolazioni, nonché a un’aumentata mortalità.