È definita sindrome del cuore infranto in quanto spesso associata a stress emotivi elevati che fungono da fattori scatenanti. Si presenta in genere con i segni e i sintomi dell’infarto, quindi ischemia e elevati valori di biomarker cardiaci nel sangue. A differenza dell’infarto, durante l’angiografia delle arterie coronariche si apprezzano caratteristici segni scarsamente ostruttivi, mentre le cavità cardiache, atri e ventricoli, sono rigonfie e si muovono poco.
Per capire meglio le differenze tra infarto e TTS, alcuni ricercatori americani hanno preso in considerazione 61.412 ricoveri per TTS. Nello stesso periodo, quasi 3,5 milioni di pazienti sono stati ricoverati per infarto anteriore del miocardio (AMI). I pazienti con TTS erano più giovani, con un’età media di 66 anni, erano più spesso donne e presentavano maggiori probabilità di avere una storia di depressione, psicosi, abuso di alcool o droghe, ipotiroidismo, artrite reumatoide e malattia vascolare del collagene, oltre che malattia polmonare cronica, rispetto ai pazienti con AMI. Al contrario, i pazienti con TTS avevano meno probabilità di avere fattori di rischio cardiovascolare rispetto a chi veniva colpito da AMI.
La mortalità durante il ricovero è stata più bassa in caso di TTS che di AMI (2,3% rispetto a 10,2%); lo shock cardiogenico si è verificato con la stessa frequenza in entrambi i gruppi (5,7%). Tra i sopravvissuti con TTS (7.132 pazienti, pari all’11,9%) sono stati ricoverati di nuovo entro 30 giorni e la mortalità associata al secondo ricovero si è attestata al 3,5%. Per questo, “un accurato follow-up dei pazienti con TTS potrebbe evitare nuovi ricoveri e nuovi pericoli”, sottolineano gli autori. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista European Heart Journal.