Sclerosi multipla in Sicilia: “Ai pazienti più territorio e meno ospedale”

In Italia sono circa 130mila le persone che convivono con la sclerosi multipla; l’incidenza delle diagnosi supera i 3.500 nuovi pazienti l’anno. Si tratta di una patologia cronica, progressiva ed invalidante che colpisce le donne con un rapporto di 3 a 1 rispetto agli uomini e viene diagnosticata in età lavorativa, tra i 20 e i 40 anni. Negli ultimi 20 anni, la ricerca è andata avanti e le persone con sclerosi multipla hanno ottenuto terapie innovative e farmaci più efficaci, con benefici in termini di qualità di vita, anche attraverso la riabilitazione. Ma in Sicilia, dove si stima che i pazienti con sm siano 9.500, restano le criticità: a pesare sono la distanza dai centri di riferimento e la mancata delocalizzazione dell’assistenza sul territorio, soprattutto per le terapie a bassa intensità. È quanto emerge dal congresso Gestione Multidisciplinare della Sclerosi Multipla in Sicilia, tra Presente e Futuro, organizzato dall’Unità di Neurologia dell’Arnas Civico, in collaborazione con l’Ordine dei Medici e svoltosi nei giorni scorsi a Villa Magnisi, sede Omceo Palermo.

Ad aprire il dibattito, il direttore della Neurologia dell’Ospedale Civico di Palermo, Salvatore Cottone, e il presidente dell’Omceo, Toti Amato, consigliere Fnomceo. “La sclerosi multipla – dichiara Cottone – rappresenta un modello paradigmatico di malattia complessa con il più alto indice di innovazione tecnologica, diagnostica e terapeutica la cui sintomatologia ed evoluzione clinica ha un profondo impatto sulla vita di chi ne è affetto. Ma oggi in Sicilia, per lo specialista s’impone un nuovo modello di presa in carico del paziente che veda la partecipazione attiva della persona e preveda l’intervento di diverse figure specialistiche come medici, infermieri, psicologi, terapisti della riabilitazione.”

“Come accaduto per altre malattie, il Covid-19 ha messo in luce tutte le criticità della gestione: distanza dai centri di riferimento e riabilitazione senza ricovero sono i 2 limiti strutturali più gravi, che potrebbero essere superati per i casi meno gravi con i servizi da remoto in telemedicina”, afferma Amato. “Servono investimenti, volontà e riorganizzazione. La distanza per questi pazienti comporta un carico assistenziale ed economico non indifferente per il disagio fisico, perché minorenni o perché anziani. A muoversi è un’intera famiglia. Problema che si aggrava per la riabilitazione quando non è previsto il ricovero. Una terapia giornaliera di 15 giorni diventerebbe per una famiglia economicamente insostenibile.”

Unanime la posizione degli altri specialisti intervenuti – tra i quali Antonello Giordano, Luigi Sicurella, Luigi Maria Grimaldi, Giuseppe Salemi, Francesco Patti, Sabrina Realmuto – tutti concordi nel ribadire l’urgenza di un approccio strutturato e multidisciplinare di gestione della malattia secondo un modello che assicuri la piena soddisfazione della persona e miri al miglioramento della qualità della vita.