
I difetti nel metabolismo del rame hanno un ruolo in alcune malattie come il morbo di Wilson, la malattia di Menkes e l’Alzheimer. “La maggior parte degli studi sul rame nella malattia di Alzheimer – spiega la dott.ssa Rosanna Squitti dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia – sono condotti da ricercatori Italiani in collaborazione anche con esperti internazionali come il prof. A.I Bush, la prof.ssa Martha C. Morris e il prof. George G. Brewer, uno dei massimi esperti nella malattia di Wilson. I dati in nostro possesso hanno dimostrato che sulla malattia di Alzheimer e su altre patologie neurologiche, come Parkinson e Declino Cognitivo Lieve, considerato precursore dell’Alzheimer stesso, è evidente un disturbo nel metabolismo del rame.” In questi studi, il Fatebenefratelli di Brescia – all’avanguardia per la qualità e quantità di pubblicazioni sull’argomento – collabora con il prof. Stephen G. Kaler, uno dei massimi esperti mondiali delle mutazioni genetiche che influiscono su tale metabolismo, che ha scoperto nuove mutazioni e è impegnato in nuovi approcci di terapia genica. “Il rame – aggiunge Squitti – è un metallo essenziale, presente nella nostra dieta, e è alla base della respirazione, della produzione dei globuli rossi e bianchi. Svolge delle funzioni vitali nel metabolismo dei muscoli del tessuto connettivo e scheletrico e soprattutto del cervello. I difetti nel metabolismo di questa sostanza influenzano malattie come le demenze, in particolare l’Alzheimer, e disturbi del movimento come il Parkinson.”
Si sa che il rame è coinvolto nei meccanismi alla base della cascata “amiloidea”, cioè della serie di processi neuropatologici che coinvolgono la proteina beta amiloide che forma le placche nel cervello dei pazienti con Alzheimer, e portano alla morte dei neuroni, le cellule che formano il cervello. Gli studi condotti sia in laboratorio, sia sulla popolazione, hanno dimostrato come la dieta contenente un alto contenuto di rame associata a grassi saturi and trans insaturi abbia un effetto sul peggioramento dello stato cognitivo delle persone, pari a 19 anni aggiuntivi di invecchiamento, e sulla mortalità in generale.
Il motivo per cui il rame è coinvolto nella malattia di Alzheimer è che esso è un elemento altamente reattivo, catalizzatore o più semplicemente innesco di reazioni chimiche tra le quali primariamente quelle dello stress ossidativo, quando sfugge dal controllo delle proteine che ne regolano il metabolismo come ad esempio la ceruloplasmina. Questa proteina lega il 95% del rame in circolo mentre il rimanente 5%, detto rame “libero” o rame “non-ceruloplasminico” appunto, è un rame scambiabile tra le varie componenti proteiche del siero che, se supera certi livelli (1.6 micromolare), diventa altamente tossico. Nella malattia di Wilson questo tipo di rame sale a livelli dell’50-80%, provocando una malattia devastante, di cui il prof. Kaler e il prof. Brewer hanno contribuito a delineare alcuni tra gli aspetti più importanti. Nella malattia di Alzheimer raggiunge il 16%, producendo, con l’invecchiamento, un’accelerazione dei processi patogenetici della malattia. Infatti, la proteina beta-amiloide ha al suo interno una specifica sequenza che lega questo elemento e che ha come effetto la produzione di radicali liberi e stress ossidativo. In particolare, si genera una molecola pro-ossidante, l’acqua ossigenata, che reagendo a sua volta con i metalli produce dei circoli viziosi in cui si formano di continuo radicali liberi, che danneggiano le membrane delle cellule e le molecole del DNA.
Gli studi condotti dal Fatebenefratelli dimostrano che i livelli più alti di questo particolare tipo di rame correlano con i deficit sia di natura cognitiva, sia neurofisiologica e anatomica, come l’atrofia, cioè la morte dei neuroni che si evidenzia con indagini di Neuromaging del cervello, come la Risonanza Magnetica Nucleare, ma anche con i marker di malattia che sono presenti nel liquido cerebrospinale. “Questa nostra ricerca – precisa Squitti – ha dimostrato che i pazienti che al tempo iniziale avevano un valore di rame non-ceruloplasminico maggiore di 1,6 micromolare avevano triplicato il rischio di sviluppare l’Alzheimer, e la transizione da Mild Cognitive Impairement a demenza franca avveniva con una velocità più rapida (circa un anno e mezzo) rispetto ai soggetti con valori di rame non-ceruloplasminico normale (tempo di conversione di 4 anni).”
Di tutto questo si parlerà martedì 22 novembre all’Humanitas di Milano (building 7/8, sala E, ore 11:00), in un convegno organizzato dalla la dott.ssa Rosanna Squitti dell’Irccs Istituto Centro San Giovanni di Dio-Fatebenefratelli di Brescia, insieme alla dott.ssa Maria Luisa Malosio, dell’Irccs Humanitas.