Rivoluzionario intervento con bisturi laser al cervello di una bambina

Le immagini dell’intervento compiuto per rimuovere una lesione tumorale nel cervello di una bambina di quattro anni sono ancora vivide per il prof. Pietro Paolo Martorano, Responsabile della Neuroanestesia e Terapia Intensiva Post Operatoria degli Ospedali Riuniti di Ancona, membro di un team multidisciplinare di oltre venti specialisti, coordinato dal neurochirurgo Roberto Trignani, che pochi giorni fa ha portato a termine un’operazione di alta innovazione chirurgica e scientifica. L’intervento nell’Ospedale di Ancona, tra i primi a essere eseguiti in Italia su paziente pediatrico, è stato infatti realizzato con un metodo innovativo, la neurochirugia con bisturi laser. Di seguito, il commento del prof. Martorano.

IL RUOLO DEL NEUROANESTESISTA

“Se volessimo fare un parallelo, l’anestesia in questa procedura ha rappresentato la base di una piramide: senza di essa, questa tipologia di intervento così delicato non si sarebbe potuto svolgere. In questo caso specifico, l’intervento si è sviluppato continuativamente attraverso quattro ambiti: Sala Operatoria, Sala Tac per due volte e infine Sala di Risonanza Magnetica dove è stata effettuata l’avulsione della lesione mediante laser. Man mano che si procedeva verso l’apice della piramide, l’assistenza anestesiologica si sviluppava con tecniche e monitoraggi diversi per ogni ambito. La giovane Paziente è stata infatti addormentata in Sala Operatoria, poi trasferita in sala TAC, sempre addormentata, monitorata e ventilata durante lo spostamento in una situazione ambientale completamente diversa. Si è poi tornati in Sala Operatoria dove il Neurochirurgo, nell’arco di 2 ore, mediante neuronavigazione (un processo che restituisce le immagini in 3D del cranio della bambina) ha posizionato il dispositivo laser esattamente all’interno della lesione tumorale.”

“Al termine di questa fase, la Paziente – sempre in anestesia generale e monitoraggio completo – è stata ricondotta in TAC per la verifica del corretto posizionamento della sonda laser, ma questa volta con un problema aggiuntivo, legato al rischio di eventuali minimi spostamenti durante il trasporto. Una volta controllato il corretto posizionamento e con tutti i parametri vitali sempre sotto controllo (ogni variazione pressoria o di ventilazione avrebbe potuto creare danni alla piccola paziente) la Paziente ha raggiunto il quarto ed ultimo step terapeutico, la risonanza magnetica. Considerato che durante i vari passaggi ci si trovava spesso molto distanti dalla Sala Operatoria e da tutti i presidi sanitari normalmente utilizzati, il lavoro di preparazione è stato lungo e intenso. Sono state effettuate per 2 volte in 2 diversi pomeriggi, simulazioni di tutta la procedura, alla presenza di tutte le componenti professionali coinvolte nell’intervento. Occorreva infatti pianificare meticolosamente ogni fase, per evitare qualsiasi imprevisto sino alla scelta del percorso più veloce e comodo per il passaggio della barella considerando come uno dei momenti più a rischio quello dall’inserimento della sonda alla fase del trasporto da un ambiente all’altro, perché in quel momento eravamo in un ambiente non protetto, oltre che privi di tutti gli strumenti e le monitorizzazioni presenti in sala operatoria. Quindi – spiega Martorano – abbiamo dovuto pensare anche a tutte le eventuali possibilità per ridurre i rischi o le eventuali impreviste complicanze.”

“Anche la Sala RMN, per interventi come quello effettuato, durato circa due ore, ha evidenziato una serie di problematiche normalmente non rilevabili durante l’utilizzo di routine, a cominciare per esempio dalla temperatura della sala che, per mantenere freddo il magnete, deve essere di circa 21°C. Considerato che normalmente il Paziente anestetizzato in Sala Operatoria, ove vigono temperature ben più alte, tende comunque a raffreddarsi, è facile percepire la portata del problema considerato che non esistono sul mercato apparecchiature amagnetiche compatibili con la RMN per contrastare il raffreddamento routinariamente utilizzate in sala e per la nostra piccola paziente abbiamo utilizzato banali borse di acqua calda.”

ANESTESIA E RISONANZA MAGNETICA

“In risonanza magnetica l’apparecchiatura di anestesia deve avere gli stessi requisiti di una macchina d’anestesia di una sala operatoria tradizionale – ovvero la possibilità di monitorare frequenza cardiaca, ossigenazione del sangue, percentuale di anidride carbonica nell’espirato, temperatura e molti altri parametri – in un ambiente dove tutto ciò che è metallico è inutilizzabile. L’apparecchio ventilatore amagnetico che abbiamo utilizzato con ottime performance è stato il Fabius della Dräger, utilizzabile sia nell’adulto che in pediatrica, che si è comportato benissimo anche con volumi di erogazione come quelli richiesti per una bambina così piccola, di soli 15kg di peso. Riguardo il monitoraggio durante la procedura in RMN si è utilizzato il TESLA, un altro apparecchio amagnetico di altissimo profilo tecnico che si è dimostrato validissimo perché ci ha permesso non solo di registrare gli stessi parametri monitorati in Sala Operatoria (compreso pressione arteriosa cruenta e temperatura corporea), ma ci ha anche consentito di leggerli sull’annesso ripetitore posto esternamente alla risonanza magnetica.”

NUOVI SCENARI

“Ritengo – prosegue Martorano – che questo tipo di intervento rappresenterà la nuova frontiera per quelle lesioni cerebrali di piccole dimensioni ma di difficile accesso da un approccio neurochirurgico tradizionale specialmente se adiacenti a strutture cerebrali molto delicate, nel nostro caso il cervelletto, che se coinvolte potrebbero procurare gravi lesioni invalidanti. Questo tipo d‘intervento, anche se per il momento limitato a un solo caso, e ancora gravato da alti costi (la sola sonda laser ha un costo di 18mila euro ad utilizzo), apre sicuramente nuovi futuri scenari. Esso consentirà d’intervenire su patologie che con metodi tradizionali non sarebbero gestibili e in più con un bassissimo impatto sul paziente: basti pensare che nel caso in oggetto il Neurochirurgo ha praticato un minuscolo foro nel cranio e che, a distanza di 5 ore dal risveglio dopo un intervento durato oltre 7 ore, la bambina parlava già con la sua mamma.”