Patologie croniche cardiovascolari migliorano con rivaroxaban

Negli ultimi vent’anni l’incremento della popolazione anziana ha determinato una aumento delle patologie croniche, tra cui quelle del sistema cardio-vascolare. In Italia, ad esempio, l’ictus è responsabile ogni anno del 10-12% di tutti i decessi, per questo motivo richiede un’importante gestione preventiva dei fattori di rischio, soprattutto in pazienti affetti da Fibrillazione Atriale, una frequente anomalia del ritmo cardiaco che ha una prevalenza stimata fra l’1% e il 2% della popolazione generale (ma ben il 10% degli ultra-ottantenni) ed è causa del 15-20% di tutti gli ictus trombo-embolici.

In presenza di fibrillazione atriale, per esercitare misure preventive adeguate viene raccomandata una terapia anticoagulante valida. L’utilizzo di una terapia anticoagulante alternativa a quella tradizionale (antagonisti della vitamina K – AVK), rappresentata dagli anticoagulanti ad azione diretta (DOAC – Direct Oral Anti Coagulant), viene considerata una tappa fondamentale nella prevenzione delle complicanze tromboemboliche della fibrillazione atriale.

“La prevalenza della fibrillazione atriale nella popolazione generale aumenta con l’età, così come il rischio di ictus”, dichiara il dott. Vincenzo Russo, Cardiologo presso l‘UOC Cardiologia dell’Ospedale Monaldi di Napoli. “Per questo motivo la prevenzione del rischio tromboembolico nei pazienti anziani affetti da fibrillazione atriale deve essere una priorità assoluta del nostro intervento terapeutico.”

Tuttavia, nonostante i vantaggi introdotti dai nuovi anticoagulanti orali, ad oggi, si registra ancora un sottoutilizzo degli stessi, a discapito soprattutto di una corretta gestione dei pazienti complessi o cronici, il cui percorso terapeutico comporta un lavoro integrato tra diversi specialisti. L‘introduzione nella pratica clinica dei DOAC attualmente disponibili è stato preceduto da rigorosi studi Internazionali di confronto tra le singole molecole e gli antagonisti della vitamina K. Tali studi hanno dimostrato una pari o superiore efficacia preventiva dello stroke e degli eventi tromboembolici sistemici dei nuovi farmaci rispetto al warfarin (AVK), con minori effetti secondari emorragici e con particolare riguardo agli eventi maggiori (emorragie intracraniche e sanguinamenti fatali).

In particolare, nello studio ROCKET AF (Rivaroxaban Once-daily Oral Direct Factor Xa Inhibition Compared with Vitamin K Antagonism for Prevention of Stroke and Embolism Trial in Atrial Fibrillation) la popolazione anziana era ben rappresentata (il 44% aveva un’età uguale o superiore ai 75 anni), con un rischio tromboembolico ed emorragico più alto rispetto agli studi registrativi delle altre molecole. Il profilo di efficacia e sicurezza di rivaroxaban rispetto a warfarin è risultato essere consistente in tutti i sottogruppi di età. Risultati che sono stati confermati anche nella pratica clinica quotidiana in studi di real life su pazienti ancora più anziani (a partire da 80 anni).

“Nei pazienti con malattia renale cronica – conclude Russo – l’impiego di rivaroxaban al dosaggio di 15mg al giorno può essere utilizzato, sia per l’efficacia e sicurezza evidenziate nella letteratura scientifica sia per elementi di pratica clinica, quali la monosomministrazione giornaliera, fattore molto importante per pazienti politrattati come quelli che stiamo prendendo in considerazione.”