Avelumab nel trattamento del carcinoma uroteliale

L’Agenzia Italiana del Farmaco ha ammesso alla rimborsabilità avelumab (nome commerciale: Bavencio) per il trattamento di mantenimento in prima linea di pazienti adulti affetti da carcinoma uroteliale localmente avanzato o metastatico senza progressione dopo una chemioterapia a base di platino. Il farmaco aveva ricevuto l’approvazione per questa indicazione dalla FDA nel luglio 2020 e dall’EMA nel gennaio 2021. Avelumab è la prima e unica immunoterapia ad avere dimostrato un beneficio significativo sulla sopravvivenza globale nel setting di prima linea, come dimostrato dallo studio clinico di Fase III Javelin Bladder 100, dal quale emerge che la terapia con avelumab al termine della prima linea, rispetto alla sola “osservazione” del paziente ha aumentato la sopravvivenza globale di 8,8 mesi (aggiornamento ASCO GU 2022), con una condizione del paziente mantenuta o migliorata, grazie alla limitata tossicità del farmaco.

“Il tumore della vescica è una malattia che interessa 313.600 soggetti in Italia (di cui l’80% uomini). In oltre il 90% dei casi il tumore origina dall’urotelio, ossia l’epitelio che riveste la vescica, ma anche altri organi dell’apparato urinario come la pelvi renale, l’uretere e l’uretra, e viene quindi definito, più genericamente, carcinoma uroteliale”, dichiara il dott. Roberto Iacovelli, dirigente medico presso l’UOC Oncologia Medica della Fondazione Policlinico Universitario Agostino Gemelli IRCSS. “Nel 2021 questa neoplasia è stata diagnosticata in 25.500 persone e ha causato oltre 6mila decessi. Questo tumore si sviluppa inizialmente nel rivestimento interno della vescica (urotelio), e può successivamente diffondersi alla parete muscolare che la circonda e raggiungere i linfonodi, o altri organi come polmoni, fegato, ossa. Per questo motivo, la diagnosi tempestiva è fondamentale, perché influenza la sopravvivenza futura, così come l’approccio terapeutico che, a seconda dello stadio del tumore, prevede interventi combinati tra chirurgia, chemioterapia, radioterapia e immunoterapia. Fino ad ora, il trattamento standard di prima linea del carcinoma uroteliale in stadio avanzato era caratterizzato dalla sola chemioterapia a base di derivati del platino, generalmente per un massimo di 6 cicli. Nei pazienti in cui si osservava almeno una stabilità della malattia al termine della chemioterapia, seguiva poi un periodo di osservazione clinica e strumentale per individuare precocemente la nuova progressione di malattia cui far seguire un nuovo trattamento, questa volta di seconda linea. Fino ad oggi – conclude Iacovelli – non vi erano evidenze scientifiche sufficienti per proporre una terapia farmacologica di mantenimento con l’intento di mantenere il risultato raggiunto dalla prima linea di chemioterapia, ritardare la progressione, ed infine l’evoluzione della malattia.”

Avelumab risponde all’esigenza terapeutica del mantenimento, per la quale fino ad ora non esistevano soluzioni. L’immunoterapia rappresenta un approccio terapeutico relativamente nuovo in oncologia, ed è considerata una nuova possibilità per la cura del cancro dopo chirurgia, chemioterapia e radioterapia, che contribuisce a “riattivare” e “rinforza” il sistema immunitario del paziente, spingendolo a aggredire le cellule malate. “Avelumab è un anticorpo monoclonale che si lega alla cosiddetta proteina checkpoint PD-L1, un target specifico che permette ad alcune cellule tumorali di eludere l’attività del sistema immunitario”, dichiara il dott. Sergio Bracarda, direttore del Dipartimento di Oncologia e della S.C. di Oncologia Medica e Traslazionale dell’Azienda Ospedaliera Santa Maria di Terni, presidente incoming SIUrO, Società Italiana di Uro-Oncologia. “Il farmaco inattiva il PD-L1, presente sulla superficie delle cellule tumorali, bloccando questo effetto protettivo e consentendo al nostro Sistema Immunitario di combattere il tumore. Per i tumori uroteliali, dopo quasi 3 decenni senza sostanziali ‘novità’, avelumab rappresenta realmente un punto di svolta nella pratica clinica. Il farmaco non solo si è rivelato efficace nel controllo della malattia, e con risultati in sopravvivenza aumentati rispetto a quelli comunicati in precedenza, ma è anche ben tollerato; elemento, quest’ultimo, di estrema importanza alla luce della tipologia dei pazienti trattati, spesso anziani e affetti da molte altre patologie.”