
Tra i tanti sintomi del Covid-19 – verrebbe da dire – ci mancava anche questa… il priapismo. Si tratta di una patologia molto particolare e molto rara, ma non per questo meno pericolosa, caratterizzata da un’erezione, completa o parziale, che persiste per più di 4 ore, in assenza di una stimolazione sessuale. I casi di priapismo connessi al Covid segnalati fino a oggi nella letteratura internazionale sono veramente pochi, non più di 5, ma è importante determinare se il fenomeno sia da ricondurre all’infezione in se stessa oppure alla terapia adottata per combatterla. È quanto hanno cercato di capire alcuni ricercatori della Clinica Urologica del Policlinico San Martino di Genova, diretta dal prof. Carlo Terrone, dove è stato osservato 1 caso di priapismo in un paziente Covid.
“In ogni caso, indipendentemente dalla fisiopatologia, è importante individuare il problema e risolverlo rapidamente, poiché – specialmente in caso di priapismo ischemico – trascorse le 10-12 ore si alterano i meccanismi dell’erezione, in quanto il tessuto nobile (corpi cavernosi) viene sostituito dal tessuto fibrotico, e quindi viene meno la funzionalità”, spiega Terrone. La ricerca, coordinata dal prof. Aldo Franco De Rose, coadiuvato dalla dott.ssa Francesca Ambrosini, dal prof. Guglielmo Mantica e dal dott. Luca Genova, prende in esame il caso di un 62enne ricoverato per una forma grave di polmonite da Covid con sindrome acuta di difficoltà respiratoria che durante la sua permanenza nell’unità di terapia intensiva ha sviluppato una forma di priapismo ischemico. Lo studio è stato pubblicato su Research and Reports in Urology.
Il paziente era sessualmente attivo e non presentava fattori tromboembolici di rischio. Si era presentato all’ospedale con una severa dispnea, spossatezza e tosse secca, temperatura di 39 °C. “Il meccanismo eziopatogenico, cioè quello che ha determinato la causa e l’evoluzione della malattia, non è ancora completamente chiaro”, commenta De Rose. “La causa che si ipotizza più di frequente in questi casi è che si tratti uno stato protrombotico associato all’infezione. Però altri elementi, compresi i farmaci somministrati per combattere l’infezione, possono avere giocato un ruolo cruciale.”
“Nel nostro caso in particolare si trattava di un paziente con grave insufficienza respiratoria, che aveva richiesto la intubazione”, aggiungono Ambrosini e Genova. “Proprio in questo caso, un ruolo determinante, può essere stato svolto svolto dall’utilizzo di alcuni farmaci come propofol, necessario per l’induzione dell’anestesia. In altri casi il priapismo insorgerebbe durante le terapie antitrombotiche con eparina o anche alla sua improvvisa riduzione o sospensione.”
“Occorrono certamente studi ulteriori per ottenere una maggiore evidenza”, afferma Mantica. “È di cruciale importanza determinare se il priapismo in pazienti affetti da Covid-19 sia da ricondurre all’infezione in se stessa o alle terapie associate in quanto questo cambia l’atteggiamento terapeutico, che però deve essere sempre rapido.”