L’epatite acuta è un’infiammazione del fegato caratterizzata, dal punto di vista biochimico, dall’incremento delle transaminasi. Quando la batteria di test sul sangue a nostra disposizione non dà informazioni sulla causa, allora abbiamo l’epatite a causa ignota che, a sua volta, prevede una diagnosi per esclusione dei virus e delle altre cause note di epatopatia (cause di autoimmunità, di tossicità, o legate al metabolismo). Infine, l’insufficienza epatica acuta si caratterizza quando una delle funzioni principali del fegato – prevenire le emorragie – viene meno per condizioni cliniche con coagulopatia non responsive alla somministrazione di vitamina K per via parenterale e in assenza di altre cause note di epatopatia cronica.
Creare nuove linee guida per la prevenzione e la cura di una nuova malattia che colpisce uno dei gruppi più deboli della popolazione, i bambini di età inferiore ai 5 anni. La malattia, come accaduto con il fenomeno del long Covid, documentato da molte pubblicazioni mediche, potrebbe causare molti altri problemi anche dopo la cura. Questo lo scopo dell’incontro online dal titolo Nuova Epatite, Pediatrica: Lavorare Insieme per la Prevenzione, promosso da Fondazione Etica onlus. All’incontro, condotto da Valentina Arcovio, giornalista scientifica di 30 Science Communications, hanno partecipato tra gli altri Giovanni Rezza, direttore generale Sezione Prevenzione Salute del Ministero della Salute; Giuseppe Indolfi, pediatra, dell’Epatologia dell’Ospedale Meyer dell’Università di Firenze, membro del gruppo di lavoro sull’epatite della Società Italiana di Pediatria; Massimo Galli, già direttore del Reparto di Malattie Infettive dell’Ospedale Sacco di Milano.
Obiettivo è sviluppare pratiche a tutela delle fasce più deboli e indifese della popolazione, realizzando una serie di iniziative e incontri tematici di dialogo e condivisione che coinvolgono i principali esponenti in campo scientifico e epidemiologico, anche attraverso la creazione di un manifesto, che tutti possono sottoscrivere su change.org. Il documento si propone di “affermare il valore della prevenzione e degli sforzi coordinati contro le nuove minacce sanitarie condivise di natura internazionale”.
Il 5 aprile 2022, per la prima volta, le autorità sanitarie scozzesi segnalano all’OMS 10 casi in Scozia di epatite e insufficienza epatica acuta in bambini piccoli, di natura epidemiologica differente da tutte le altre forme conosciute. Il 21 aprile, il Center for Disease Control statunitense notifica a sua volta 13 ulteriori casi di bambini con caratteristiche simili ricoverati tra ottobre 2021 e febbraio 2022, con cluster in un singolo ospedale in Alabama. Da quel momento, con 35/40 casi a settimana, un focolaio di epatite acuta e grave in età pediatrica, e di cui ancora non conosciamo le cause, sembra diffondersi nel mondo. L’ultimo aggiornamento dell’Oms, del 22 giugno scorso, riferisce di 920 casi in 33 Paesi. Rispetto al report precedente (27 maggio) sono stati calcolati +270 casi in circa 1 mese. Anche in Italia sono state segnalate alcune decine di casi. Oltre la metà dei casi riguarda l’Europa: il Regno Unito ne detiene la maggioranza, con 267, ovvero quasi il 30% del totale globale. Gli Stati Uniti riportano il 35% del totale. La maggior parte dei casi, riguarda bambini di età inferiore ai 5 anni; 45 bambini (circa il 5%) hanno purtroppo dovuto ricorrere a un trapianto di fegato; 18 i decessi segnalati. Fortunatamente, oggi, sia nelle rilevazioni europee sia in quelle statunitensi, le segnalazioni dei nuovi casi sembrerebbero avere una traiettoria in calo, a indicare forse un avviato processo di autolimitazione della patologia.
“Sia chiaro: non stiamo parlando di una patologia nuova, clinicamente sconosciuta, misteriosa. Quel che preoccupa noi pediatri è, come sempre, l’insufficienza epatica acuta associata all’epatite, quando il fegato smette di funzionare”, afferma Indolfi. “Si badi bene: l’OMS parla di diagnosi probabile di epatite che, di fatto, colpendo i bambini con meno di 5 anni, scagiona ogni sospetto su effetti avversi dei vaccini anti-Covid-19. I dati, almeno per l’Europa, sono stati trainati dai casi verificatisi nel Regno Unito, prevalentemente in Inghilterra ma probabilmente over reported, il che fa pensare ad una certa localizzazione dell’epidemia. I sintomi peculiari presentati dai bambini in pronto soccorso sono stati soprattutto gastrointestinali e respiratori, con una condizione giallastra ‘itterica’ della cute, ma la buona notizia è che la maggior parte degli oltre 900 casi registrati nel mondo guarisce da sola, in modo autonomo. C’è poi 1 caso su 3 di questi bambini che presenta insufficienza epatica acuta e rischia di andare in terapia intensiva, stando ai dati ECDC. Di questa percentuale, circa l’8% tra loro hanno avuto urgenza di un trapianto di fegato. Sotto questo profilo, dopo l’Inghilterra, i Paesi colpiti sono stati Polonia e Olanda. In Italia, già nel periodo 2018/19 e poi 2019/20, i casi di epatite pediatrica fatti registrare sono stati stabili: 36/37 casi, qualche decina. Le possibili ipotesi riguardo quest’incremento di epatiti pediatriche avuto nelle settimane scorse devono considerare, secondo me, tre parametri: la suscettibilità dell’ospite (il bambino) all’eventuale stress pandemico; un possibile agente eziologico, un virus, per il momento sconosciuto; la pandemia sullo sfondo.
“Al 21 giugno in Italia abbiamo avuto 75 segnalazioni: 8 di queste sono state escluse perché non aderivano per nulla ai criteri per la definizione di caso, in 33 casi la classificazione è stata sospesa e in 34 si tratta di casi probabili”, riporta Rezza. “Abbiamo solo casi probabili perché per confermarli dobbiamo trovare qualcosa che non sappiamo cosa sia, come un agente eziologico. Ma noi ci arriviamo per esclusione di altre forme di epatiti virali. Siamo in contatto l’ECDC perché abbiamo sostanzialmente il dovere di inviare i dati ogni settimana che siano confrontabili con quelli di altri paesi europei. Si era riunita l’unità di crisi che ora si è spostata sul monkeypox. Le riunioni si sono susseguite per circa 3-4 settimane di seguito. Dopodiché – prosegue Rezza – la situazione sembra essersi stabilizzata a un livello base che non sembra destare preoccupazione. A livello europeo sono stati segnalati circa 450 casi di questa nuova epatite di origine non conosciuta. Però la maggior parte dei casi è stata segnalata nel Regno Unito, dove sicuramente ci sono stati dei segnali di allerta: a fronte di 1, 2 o 3 trapianti di fegato nei bambini che si verificano ogni anno, ad averne 10, direi che qualcosa evidentemente c’è e non si può ignorare. [Dei 34 casi probabili in Italia] troviamo diversi agenti eziologici che potrebbero o non potrebbero essere la causa di questa forma di Epatite acuta. Nel 10,5% dei casi come la casistica europea troviamo alla PCR il SARS-CoV-2 che, se andiamo a vedere sierologicamente vediamo nel 60% dei casi, dati che non sorprendono; l’adenovirus lo troviamo nel 43% dei casi, una percentuale piuttosto elevata ma al di sotto del 50%. Dopodiché questo adenovirus lo troviamo nelle feci nel 25% dei casi, dato che non è specifico di un’infezione che coinvolge il fegato.”
“Siamo di fronte a 2 scenari: o sono stati riportati un numero di casi che non corrispondono ad un incremento reale oppure abbiamo davanti qualcosa di effettivamente nuovo, correlabile alla pandemia tramite l’adenovirus 41”, dichiara Galli. “Allo stato attuale dei fatti, possiamo fare solo delle ipotesi, come quella fatta da 3 ricercatori giapponesi di Kyoto che mettono in correlazione le epatiti pediatriche e Omicron. Ma anche quella di Broaden e Arditi che sarà pubblicata solo ai primi di luglio su The Lancet e che ipotizza come la persistenza del SARS-CoV-2 nel tratto gastro-intestinale potrebbe aver determinato un rilascio di proteine attraverso l’epitelio intestinale comportando, a sua volta, un’attivazione immune mediata in ragione di un super-antigene. Un super antigene simile all’enterotossina b dello stafilococco e che può essere in grado di attivare, in modo esteso e non specifico, le cellule T. Questo processo potrebbe essere considerato il meccanismo che scatena l’autodistruzione del fegato e dunque il manifestarsi delle epatiti pediatriche acute. Ma sono solo ipotesi. Mi chiedo: perché non abbiamo il caso di una scolaresca che, insieme, ha avuto l’epatite? I dati a disposizione fanno pensare che in realtà non si siano verificate vere epidemie, facendo escludere la presenza di un virus x ancora sconosciuto. Non c’è neanche traccia di evidenze di long Covid, e né il vaccino per il Covid-19 può avere un ruolo, perché i bambini colpiti sono di età inferiore all’obbligo vaccinale. Piuttosto – conclude Galli – mi sorprende il fatto che ancora non si sia pensato a raccogliere e incrociare dati clinici del fegato provenienti dalle autopsie o dai fegati espiantati.”