
Ancora oggi, dopo oltre 120 anni di storia, la cardioaspirina si conferma un pilastro della prevenzione secondaria nei pazienti che hanno avuto un evento cardiovascolare come ictus o infarto. A ribadirlo, uno studio diretto e coordinato da Humanitas, pubblicato su Lancet, che ha dimostrato che le tienopiridine, farmaci antiaggreganti in grado di inibire l’attività del P2Y12, non danno benefici sostanziali rispetto alla cardioaspirina, che dunque rimane il farmaco antiaggregante di riferimento per la prevenzione cardiovascolare secondaria.
La meta-analisi è stata condotta su 9 trial realizzati negli ultimi 30 anni, mettendo a confronto diretto la cardioaspirina con i nuovi farmaci antiaggreganti su una popolazione di oltre 40mila pazienti. “Tutti i pazienti in prevenzione secondaria devono assumere un antiaggregante. Abbiamo cercato di rispondere alla domanda se questi nuovi farmaci antiaggreganti diano o meno benefici paragonati alla cardioaspirina, focalizzandoci su degli endpoint molto significativi per il paziente, ovvero l’impatto sulla mortalità e sul rischio di un nuovo infarto o ictus”, spiega il coordinatore dello studio, prof. Giulio Stefanini, cardiologo di Humanitas e docente di Humanitas University. I risultati hanno evidenziato che i benefici della terapia con tienopiridine sono marginali rispetto a quelli con la cardioaspirina: “Per prevenire un solo infarto del miocardio – spiega Stefanini – abbiamo bisogno di trattare con i nuovi antiaggreganti 244 pazienti; un numero eccessivamente alto per giustificare la nuova terapia in sostituzione della cardioaspirina oltretutto senza alcun effetto sul rischio di mortalità.”