In occasione della Giornata Mondiale della Malattia di Parkinson – che ricorre martedì 11 aprile 2023 – la Società Italiana di Neurologia diffonde i risultati di uno studio americano, recentemente pubblicati sul Journal of the American Medical Association, che indicano come l’esposizione ad ambienti naturali quali foreste, parchi, viali alberati e fiumi possa ridurre il rischio di ospedalizzazione per malattia di Parkinson. Tra gennaio 2000 e dicembre 2016 sono stati analizzati oltre 122mila soggetti di età compresa fra 65 e 74 anni coperti dal sistema di assistenza sanitaria americano Medicare (87,6%), metà dei quali con diagnosi di Parkinson. I dati di ricovero sono stati confrontati con gli indici di vegetazione viva e di acqua dell’area di residenza dei pazienti che un apposito algoritmo (R project for statistical computing) ha adeguato in relazione alle diverse stagioni dell’anno. L’indice NDVI (normalized difference vegetation index, che valuta la percentuale di parco e spazio blu in relazione alla densità di popolazione ≥ 1.000 persone/mi2) ha mostrato una riduzione di ricoveri ospedalieri per i pazienti con malattia di Parkinson, indicando una relazione tra alcuni ambienti naturali e un calo del rischio di ospedalizzazione per tale malattia.
“Finora esistevano dati contrastanti sull’efficacia dell’esposizione ai cosiddetti spazi verdi nel proteggere da diverse condizioni neurologiche, mentre da numerosi recenti studi è emerso che questi ambienti esercitano una vera e propria azione terapeutica”, dichiara il prof. Alfredo Berardelli, presidente Società Italiana di Neurologia. “Una ragione in più per sensibilizzare i responsabili politici a prendere in seria considerazione interventi di protezione degli habitat naturali.”
Il Parkinson è una malattia neurologica che colpisce oggi 5milioni di persone nel mondo, di cui circa 400mila in Italia; si manifesta in media intorno ai 60 anni di età. Si stima che questo numero sia destinato ad aumentare nel nostro Paese e che nei prossimi 15 anni saranno 6mila i nuovi casi ogni anno, di cui la metà colpiti in età lavorativa. La diagnosi della malattia è essenzialmente clinica e si basa sui sintomi presentati dal paziente. Gli esami strumentali come la risonanza magnetica dell’encefalo possono contribuire a escludere quelle malattie che hanno sintomi analoghi al Parkinson. La conferma della diagnosi può arrivare da esami specifici come la SPECT (tomografia computerizzata a emissione singola di fotoni). Nelle fasi già iniziali di malattia è possibile ora dimostrare la presenza della alfa-sinucleina, proteina che si accumula in modo abnorme in tale malattia, e che può essere dosata nei liquidi biologici e fra questi anche nella saliva. Ad oggi non esiste una cura per la malattia di Parkinson, ma sono disponibili numerose terapie che consentono di controllarne i sintomi.