Il Comitato per i diritti economici, sociali e culturali, l’organo dell’ONU che monitora i diritti umani nei Paesi che hanno aderito al Patto internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, ha dichiarato che l’Italia ha violato i diritti alla salute sessuale e riproduttiva di una coppia che aveva fatto ricorso all’inseminazione artificiale e che voleva donare alcuni degli embrioni risultanti, affetti da un grave difetto genetico, alla ricerca scientifica.
Il ricorso venne presentato al Comitato nel 2017, con l’aiuto dell’International Human Rights Clinic e della Loyola Law School Los Angeles, all’indomani della decisione 84 del 2016 della Corte Costituzionale nella quale la Consulta dichiarò inammissibile la questione di legittimità costituzionale sollevata dal Tribunale di Firenze di taluni articoli della legge n. 40/2004. Gli articoli contestati erano le “Norme in materia di procreazione medicalmente assistita” (PMA), come il divieto di sperimentazione e di ricerca sugli embrioni, con l’impossibilità di destinare alla ricerca gli embrioni soprannumerari (articolo 13) e il divieto assoluto di revoca al consenso alla PMA dopo l’avvenuta fecondazione dell’ovulo (articolo 6). In quella decisione, la Consulta precisò che spetta al legislatore nazionale regolare la materia bilanciando da un lato il principio del rispetto alla vita e, dall’altro, le esigenze della ricerca. Nonostante il richiamo della Consulta, a tutt’oggi governo e parlamento non sono intervenuti.
La decisione del Comitato è un richiamo forte allo stato Italiano a dover adempiere ai propri obblighi internazionali e garantire i diritti umani fondamentali dei suoi cittadini. Nello specifico, riguardo l’impossibilità di revoca del consenso alla PMA dopo la fecondazione dei gameti art. 6 L.40, il Comitato condanna l’Italia perché’ “il diritto alla salute include il diritto di prendere decisioni libere e informate in merito a qualsiasi trattamento medico a cui una persona potrebbe essere sottoposta. Pertanto, le leggi e le politiche che prescrivono interventi medici involontari, coercitivi o forzati violano la responsabilità dello Stato di rispettare il diritto alla salute. Il Comitato conclude che, nelle circostanze di questo caso, costituiscono una violazione del diritto all’articolo 12 del Patto.” Il Comitato considera che la proibizione del ritiro del consenso dell’autore donna ad avere un embrione trasferito nel suo utero e la restrizione del loro accesso ai diritti riproduttivi costituisca una violazione dell’articolo 12 rispetto ad entrambi gli autori, e dell’articolo 12 in congiunzione all’articolo 3 del Patto rispetto alla coppia”.
Nelle motivazioni della propria decisione, il Comitato svolge inoltre un’accurata disamina della legge 40/04 ed evidenzia anche che la normativa italiana per essere conforme al pieno rispetto dei diritti fondamentali deve assolvere al rispetto del “diritto alla salute sessuale e riproduttiva”, che è “indissociabile e interdipendente” con altri diritti umani: “È intimamente legato ai diritti civili e politici alla base dell’integrità fisica e mentale degli individui e della loro autonomia, come i diritti alla vita; libertà e sicurezza della persona; libertà dalla tortura e da altri trattamenti crudeli, inumani o degradanti”.
“Il diritto alla salute sessuale e riproduttiva comporta un insieme di libertà e diritti”, ricorda il Comitato. “Le libertà comprendono il diritto di prendere decisioni e scelte libere e responsabili, libere da violenza, coercizione e discriminazione, per quanto riguarda le questioni relative al proprio corpo e alla salute sessuale e riproduttiva. Inoltre, le violazioni dell’obbligo di rispetto si verificano quando lo Stato, attraverso leggi, politiche o azioni, mina il diritto alla salute sessuale e riproduttiva. Tali violazioni comprendono l’interferenza dello Stato con la libertà di un individuo di controllare il proprio corpo e la capacità di prendere decisioni libere, informate e responsabili a tale riguardo. Anche le leggi e le politiche che prescrivono interventi medici involontari, coercitivi o forzati, tra cui la sterilizzazione forzata o l’HIV/AIDS obbligatorio, verginità o test di gravidanza, violano l’obbligo di rispetto.”
Concludono F. Gallo, C. Romano, G. Baldini e L. Poli: “La decisione di ieri del Comitato segna un nuovo corso in materia di diritti fondamentali che devono essere affermati per tutte le persone nel nostro Paese in materia di salute riproduttiva, tutela della salute, principio di uguaglianza nell’accesso alla PMA e rispetto del diritto all’autodeterminazione. Questa decisione deve essere il punto di partenza di una discussione in Parlamento che porti all’abrogazione della legge 40/04 e alla sua sostituzione con una legge che garantisca effettivamente i diritti umani fondamentali, così come richiesto dai trattati internazionali ratificati dall’Italia.”