In Italia ancora non tutte le Regioni hanno reti oncologiche realmente operanti, fatto che “crea cittadini di ‘serie A’ e di ‘Serie B’ nella cura dei tumori”. L’allarme emerge nell’ambito del Cracking Cancer Forum, organizzato a Padova da Koncept: “Purtroppo c’è una realizzazione non compiuta delle reti oncologiche su tutto il territorio nazionale”, dichiara Gianni Amunni, direttore generale Ispro, Istituto per lo Studio, la Prevenzione e la Rete Oncologica. “Non tutte le regioni ce l’hanno; altre dicono di averla, ma non in maniera fattiva. Senza tener conto del fatto che c’è una governance non sempre efficiente ed efficace. Oggi, in Italia, ha precisato, ci sono 5 reti pienamente operative: Piemonte, Veneto, Liguria, Toscana e Umbria; 3 in grande crescita, ovvero Campania, Puglia e Sicilia; 2 casi particolari, come quelli di Lombardia e Emilia-Romagna, mentre per le restanti Regioni – la metà del totale – le reti sono totalmente assenti, nonostante siano un obbligo.”
Un caso “particolarmente problematico” è quello della Sardegna, presentato al Forum da Daniele Farci, coordinatore regionale Associazione Oncologi Medici Aiom: “La rete oncologica esiste sulla carta, ma nella pratica non esiste, così come non esiste il registro oncologico regionale. Dopo l’istituzione della rete, in seguito al cambio del vertice politico nel 2019, il lavoro si è fermato fino alla primavera scorsa, quando è stato istituito un nuovo tavolo di lavoro per la rete oncologica. Ma è ripartito solo sulla carta”, afferma Farci. “Si è arrivati, dietro pressioni politiche, a un progressivo ampliamento del tavolo fino all’attuale numero spropositato di 27 componenti. Così le riunioni sono poche e non produttive. Lo scotto di questo lo paghiamo nell’attività quotidiana; lo paghiamo perché le strutture non sono collegate e in particolare nel lockdown ci sono stati grossi problemi per i pazienti. Le note che arrivano dalla Sardegna sono note dolenti.”
In Piemonte la rete è presente da tempo, ma anche alla luce della pandemia sono state introdotte delle innovazioni, a partire da una governance che vede al vertice 3 persone. “È stato raggiunto un forte spirito di gruppo con progetti e protocolli comuni, quello che veniva a mancare era una forte spinta verso il territorio, i Pdta erano simili ma non comuni”, spiega Massimo Aglietta, coordinatore della rete oncologica piemontese. “Quello che ci proponiamo è un Pdta (percorso diagnostico terapeutico assistenziale, ndr) unico regionale, dallo screening fino al follow-up. Abbiamo un sistema che funziona abbastanza bene ma che può migliorare molto.”
“È fondamentale che le reti istituiscano i Pdta regionali, con indicatori rilevabili”, afferma Pierfranco Conte, coordinatore rete oncologica in Veneto. “Poi ancora manca una oncologia territoriale: non possiamo pretendere che i medici di medicina generale abbiano sufficienti competenze per seguire malattie complesse e terapie, nuovi strumenti tecnologici ma anche organizzative, con oncologi sul territorio che consentano alla deospedalizzazione.”
“La rete campana è un cantiere in movimento, che deve continuamente progredire”, dichiara Sandro Pignata, coordinatore della rete oncologica Campania. “Abbiamo lavorato per creare un sistema digitale e informatizzando. Secondo me una delle ragioni del gap di mortalità nella nostra Regione rispetto alle altre è nella tempistica della diagnosi e nel non avere un canale garantito. Questo canale lo stiamo creando: i pazienti arrivano ai gruppi oncologici multidisciplinare che devono garantire una visita entro 7 giorni.”
Nell’ambito del Forum, sono stati anche attribuiti i Premi San Giorgio, al prof. Giuseppe Cugliano, per la ricerca oncologica; al prof. Pierfranco Conte, per la personalità che si distinta nella lotta al cancro; Novartis business Unit Oncology, per il miglior servizio digitale con WelCare; AriDigital, per la migliore idea progettuale di servizi digitale con TestaColloInrete; Novartis Business Unit Oncology, per il miglior progetto di miglioramento dei processi di rete con Rise.