
Porre attenzione alla nutrizione e ai cambiamenti metabolici nei pazienti con SLA può diventare un’importante area di intervento terapeutico per migliorare la qualità di vita e rallentare in maniera significativa la progressione della malattia. È quanto sostiene uno studio multicentrico italo-francese, coordinato dal Centro Clinico NeMO di Milano, e che ha visto coinvolti la Dietetica e Nutrizione Clinica dell’ASST Grande Ospedale Metropolitano Niguarda, l’IRCCS Ospedale San Raffaele e le Università francesi di Limoges e Tours. Lo studio – pubblicato sul Journal of Neurology, Neurosurgery, and Psychiatry – ha confermato come il metabolismo energetico, posto in relazione al piano nutrizionale individuale di ciascun paziente, offra informazioni cruciali sui cosiddetti “fattori prognostici”, ossia quella caratteristica biologica in grado di modificare la prognosi, cioè il tempo della sopravvivenza del paziente al decorso naturale della malattia. Grazie a queste nuove informazioni sarà possibile impostare una adeguata presa in carico, al fine di preservare le capacità funzionali del paziente più a lungo.
La Sclerosi Laterale Amiotrofica è caratterizzata dalla degenerazione progressiva del primo e del secondo motoneurone, una tra le cellule di maggior volume del nostro sistema nervoso e che necessita del maggior fabbisogno energetico. Nel tempo, la persona che ne viene colpita perde la sua capacità di muoversi, di parlare, di deglutire e di respirare autonomamente, arrivando ad una situazione di immobilità che inevitabilmente ne modifica il fabbisogno nutrizionale. Proprio per questo, la ricerca analizzato il metabolismo energetico basale, ampliando gli studi sul tema della nutrizione, fino ad ora orientati esclusivamente all’analisi della condizione di disfagia e delle sue conseguenze. Per semplificare, la quantità totale di energia che l’organismo impiega per svolgere le sue funzioni viene indicata con il termine di metabolismo energetico ed è espressa in kilocalorie (calorie). Il metabolismo energetico basale è invece la parte di energia che l’organismo utilizza in condizioni di base, cioè quando siamo svegli, ma a riposo; sdraiati e senza svolgere alcuna attività muscolare; oppure nella cosiddetta fase di post-assorbimento, cioè dopo che siano trascorse 12-18 ore dall’ultimo pasto, quando cioè sono terminati anche gli ultimi processi digestivi; ed infine quando siamo in un luogo con temperatura che non solleciti i meccanismi di termogenesi. In altre parole, il metabolismo energetico basale indica la quantità minima di energia che può sostenere la vita, mantenere lo stato di coscienza e una temperatura normale del corpo.
LA RELAZIONE TRA SLA E METABOLISMO ENERGETICO?
Poiché la perdita di peso e la malnutrizione provocano un forte squilibrio nel dispendio energetico del nostro metabolismo, la ricerca ha dimostrato che questa conseguenza comporta, a sua volta, una accelerazione della degenerazione dei motoneuroni. “Pur considerando la necessità di continuare lo studio attraverso un’analisi longitudinale e prolungata nel tempo dello stato metabolico dei pazienti SLA, anche in relazione alle mutazioni genetiche della malattia, i risultati sono preziosi perché contribuiscono in primo luogo a definire per la prima volta nella SLA un nuovo gruppo target specifico di pazienti, gli ipometabolici appunto, per i quali si potrà continuare a studiarne le caratteristiche rispetto all’andamento della patologia e, in secondo luogo, ha confermato come lo stato metabolico basale possa diventare un utile biomarcatore per l’analisi e la progressione della SLA, nonché un fattore fondamentale per un presa in carico mirata sulle caratteristiche di ogni paziente”, dichiara Christian Lunetta, neurologo, referente Area SLA del Centro Clinico NeMO di Milano e coordinatore dello studio. Il risultato raggiunto è stato confermato analizzando non solo una coorte molto ampia di pazienti, ma anche con abitudini alimentari differenti. Lo studio retrospettivo ha analizzato 847 pazienti SLA italiani e francesi, 472 maschi e 375 femmine, con un’età media di insorgenza della malattia tra i 63 e i 79 anni. Ad una condizione di ridotto consumo energetico basale (ipometabolismo), che è riscontrabile in circa il 10% dei pazienti, è associata una progressione più lenta della malattia. Viceversa nei pazienti ipermetabolici (circa il 30%) è associata una progressione più rapida della malattia. L’assetto metabolico ha, dunque, considerevoli conseguenze dirette su tappe inevitabili e fortemente impattanti nella vita di un paziente SLA, come la gastrostomia e la ventilazione (invasiva e non). Nei pazienti ipometabolici, l’intervallo tra esordio dei sintomi e l’inizio della ventilazione invasiva è infatti di circa 6 anni, a differenza dei pazienti iper e normo-metabolici che risulta rispettivamente di 2 e 3 anni.
Attraverso un esame ad oggi ancora non diffuso nella pratica clinica dei Centri SLA, la calorimetria indiretta, è stato misurato il consumo metabolico in situazione di riposo (REE). I dati sono stati poi correlati con le misure della composizione corporea, le specificità cliniche, la rapidità di progressione della malattia e la sopravvivenza di ogni paziente. I risultati confermano che questo tipo di analisi dovrebbe essere introdotta sistematicamente in tutti i centri che seguono pazienti SLA perché di fondamentale importanza al pari delle altre analisi di routine effettuate per la valutazione della progressione della malattia, come quelle respiratorie, motorie, deglutitorie e di comunicazione.
“La presenza di un team multidisciplinare nei nostri reparti, in partnership con altri gruppi di ricerca, infatti, permette di avere una visione delle nostre patologie a tutto tondo e rende concreta quell’alleanza tra medico e paziente, soprattutto per patologie come la SLA per le quali ancora non vi è cura”, dichiara Alberto Fontana, presidente Centri Clinici NeMO. La nuova sfida è quella di comprendere come sia possibile intervenire per portare il paziente ad una condizione di ipometabolismo. Questa è una domanda a cui la scienza non ha trovato ancora risposta e sulla quale si continuerà ad indagare. La prospettiva è quella di arrivare ad individuare, come già si sta facendo nelle patologie oncologiche, nuovi trattamenti farmacologici che portino ad una modifica dell’assetto metabolico per rallentare la progressione della malattia. Certamente, lo studio conferma ancora una volta quanto sia fondamentale per un paziente SLA essere preso in carico da una équipe multidisciplinare in cui la presenza di professionisti della nutrizione permetta non solo di identificare lo stato metabolico, ma anche di personalizzare l’intervento costante nutrizionale per modificare la prognosi naturale di malattia.
Lo studio è stato condotto grazie all’autofinanziamento dei Centri Clinici NeMO, al coinvolgimento di centinaia pazienti e al sostegno di AISLA, Associazione Italiana Sclerosi Laterale Amiotrofica, in particolare della sezione di Varese.