Nuove strategie contro il mieloma multiplo

“Missili teleguidati”, progettati cioè per arrivare dritti al tumore. La cosa interessante è che lo fanno attraverso un meccanismo innovativo, in una sorta di “partita a Risiko” con la malattia. Dapprima rilevano un bug, un “punto debole” sulla superficie della cellula patologica, un varco non protetto. Lì si infilano per rilasciare citotossine, anche 10mila volte più potenti della chemioterapia standard, senza toccare o riducendo al minimo i danni ai tessuti sani. Questo il principio di azione degli anticorpi farmaco-coniugati, ultima frontiera dell’immunoterapia contro il mieloma multiplo. Belantamab mafodotin, ora disponibile anche in Italia, ne è un esempio.

COME FUNZIONA

Tecnicamente è un anticorpo monoclonale “coniugato”, composto cioè da 2 molecole: un anticorpo monoclonale umanizzato (belantamab), specializzato a trovare la falla (un recettore espresso sulla superficie delle plasmacellule mielomatose, chiamato BCMA, antigene di maturazione dei linfociti B; una volta legatosi alla superficie cellulare, belantamb entra rapidamente nella plasmacellula e rilascia mafodotin, un chemioterapico che blocca i processi vitali della plasmacellula, provocandone la morte attraverso un meccanismo definito di “apoptosi”. In senso figurato, belantamab mafodotin si comporta come un “cavallo di Troia”. A questa azione principale se ne affiancano altre di attivazione del sistema immunitario del paziente, che potenziano l’effetto anti-mielomatoso.

Questa nuova cura ha dimostrato – in studi clinici e real life – di saper tenere a bada il mieloma e di aumentare la sopravvivenza in pazienti pluritrattati, per i quali non esistono ad oggi ulteriori possibilità terapeutiche. In base alle indicazioni approvative, attualmente ne possono beneficiare circa 200 pazienti, dei circa 5.700 a cui ogni anno viene diagnosticato un mieloma. Per tutto il 2021, in attesa del via libera dell’AIFA, GSK ha messo a disposizione gratuitamente belantamab ai centri che ne hanno fatto richiesta, grazie ad un progetto di Expanded Access Program. Questo ha permesso di dare più tempo e qualità alla vita a molti pazienti con pochissime opzioni terapeutiche efficaci o altrimenti sarebbero stati destinati alla palliazione.

Il trattamento con belantamab mafodotin, che prevede un’infusione endovenosa ogni 3 settimane, nello studio clinico registrativo DREAMM-2, pubblicato su Lancet Oncology, ha ottenuto un tasso di risposta globale del 32%. Oltre la metà dei pazienti (58%) ha raggiunto una risposta parziale molto buona o superiore e in alcuni casi completa. La sopravvivenza globale mediana è stata di circa 14 mesi, un risultato sorprendente in questa particolare sottopopolazione di pazienti. Numeri importanti, dunque, che aprono nuovi scenari nella lunga partita con il mieloma multiplo, malattia per la quale non c’è ancora una cura definitiva.

Il mieloma multiplo è al secondo posto fra le neoplasie ematologiche più frequenti dopo il linfoma non-Hodgkin ed è responsabile dell’1-2% di tutte le neoplasie e del 10-15% dei tumori ematologici. Colpisce soprattutto gli anziani, con un’età media alla diagnosi di circa 70 anni (solo il 2% dei pazienti ha meno di 40 anni); inoltre, è leggermente più diffuso negli uomini. L’incidenza stimata è di circa 39mila nuovi casi ogni anno in Europa. La X edizione de I Numeri del Cancro in Italia, pubblicata nel 2020 dall’Associazione Italiana Registri Tumori (AIRTUM), in collaborazione con l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), riporta che nel nostro Paese ogni anno si stimano circa 5.700 nuovi casi di mieloma multiplo, con un’incidenza di 3.019 casi negli uomini e 2.740 nelle donne. In Italia, il mieloma multiplo rappresenta l’1,5% di tutti i tumori diagnosticati nella donna (7,7 casi ogni 100mila abitanti per anno) e l’1,6% di tutti i tumori diagnosticati nell’uomo (11,1 casi ogni 100mila abitanti per anno). La svolta nella terapia si è vista a partire dagli anni 2000 che hanno visto la scoperta di numerose molecole che consentono di gestire sia i pazienti di nuova diagnosi sia quelli recidivati/refrattari: gli inibitori del proteosoma di seconda generazione, i farmaci immunomodulanti, gli anticorpi monoclonali e gli inibitori delle istone deacetilasi. Questi farmaci hanno permesso sia di raggiungere miglioramenti notevoli in termini di sopravvivenza libera da progressione e sopravvivenza globale, sia di offrire al paziente una buona qualità di vita.