
Le malattie dell’apparato cardiovascolare continuano a rappresentare la prima causa di morte o di condizioni invalidanti nel nostro come nei Paesi a più elevato tasso d’industrializzazione e la loro prevalenza è in fase di notevole incremento. Lo scompenso cardiaco è la prima causa di ricovero in ospedale negli over65, rappresentando dunque un problema di salute pubblica di grande rilievo. A soffrirne in Italia sono circa 600mila persone, e si stima che la sua prevalenza raddoppi a ogni decade di età (arrivando, dopo i 65anni, al 10% circa). È pertanto una condizione legata all’allungamento della vita media che aumenta di anno in anno a causa dell’invecchiamento generale della popolazione. Le strategie legate alla prevenzione restano fondamentali così come ogni nuova acquisizione in tema di terapia farmacologica al fine di sviluppare modelli e percorsi assistenziali condivisi e appropriati.
Recentemente, una ricerca ha confermato la sicurezza dell’inibitore SGLT2 empagliflozin nel trattamento dello scompenso cardiaco acuto, con o senza diabete, a qualsiasi valore di frazione di eiezione. È quanto emerge dallo studio randomizzato Empulse, pubblicato su Nature Medicine. I pazienti con insufficienza cardiaca acuta hanno iniziato in modo sicuro una terapia con empagliflozin per una mediana di 3 giorni dopo il ricovero in ospedale e hanno avuto il 36% in più di probabilità di sperimentare un beneficio clinico nei successivi 90 giorni rispetto ai pazienti che avevano assunto un placebo.
“Il trial controllato in doppio cieco ha preso in considerazione 530 pazienti adulti con scompenso cardiaco (età media 68 anni; 66% maschi) ricoverati per un episodio acuto di scompenso cardiaco e successivamente stabilizzati”, spiega Maurizio Volterrani, responsabile Centro per le Patologie Cardiorespiratorie dell’IRCCS San Raffaele e firma italiana dello studio. “I partecipanti sono stati divisi in 2 gruppi e sottoposti a un trattamento di 90 giorni con empagliflozin 10 mg SID o un placebo. I dati hanno messo in evidenza come i soggetti trattati con la glifozina siano risultati associati a una probabilità del 36% superiore di andare incontro a un beneficio clinico come una riduzione della mortalità per tutte le cause (4,2% vs 8,3%), una minore occorrenza di episodi di scompenso cardiaco (10,6% vs 14,7%) o un miglioramento della sintomatologia. Effetti, questi, riscontrati in modo paragonabile nei pazienti con o senza diabete di tipo 2.”
“Mentre sono disponibili diversi farmaci in grado di migliorare gli outcome clinici dei pazienti con scompenso cardiaco cronico, pochissimi hanno dimostrato un beneficio nei pazienti con scompenso cardiaco acuto di nuova insorgenza che necessitano di ricovero in ospedale”, commenta Adriaan Voors, cardiologo presso lo University Medical Centre Groningen, primo autore della pubblicazione. “I nostri risultati indicano che empagliflozin può essere di aiuto per questi pazienti senza aumentare gli eventi avversi gravi.”