Multidisciplinarità medica per curare il Covid “anche dopo la guarigione”

Multidisciplinarità indispensabile per trattare il Covid. Il virus che da 2 anni costringe milioni di persone al ricovero in ospedale, colpisce i polmoni ma anche altri organi e proprio il lavoro d’équipe ha permesso di superare la fase acuta della malattia e successivamente di seguire il paziente nella riabilitazione. “Perché dal Covid si guarisce ma non in tempi brevi?” è l’argomento affrontato nel talk show intitolato Riabilitazione Post e Long Covid: Percorso Terapeutico, al quale hanno partecipato 3 direttori delle rispettive unità impegnate nella pandemia: Elena Bargagli, direttore del centro Malattie Rare Polmonari, AUO di Siena; Sabrina Taddei, direttore unità operativa Professioni della Riabilitazione; Federico Franchi, direttore Covid Unit, AOU Siena.

“Lo pneumologo è determinante nella fase acuta della malattia”, spiega Bargagli. “Diventa cruciale nella gestione delle conseguenze lavorando fianco a fianco agli specialisti di altre discipline. Infatti, una volta dimessi, i nostri pazienti vengono seguiti da un team multidisciplinare: ogni 3 mesi i 600 casi post Covid vengono sottoposti a visite per valutare il percorso di recupero. Nel long Covid si riscontrano non solo problematiche respiratorie, ma anche stanchezza patologica insieme ad affanno, scarsa concentrazione, scomparsa del gusto e dell’olfatto. La capacità respiratoria, soprattutto nei pazienti fragili, non viene sempre recuperata totalmente.”

Oltre alle cure immediate, il paziente dopo un lungo periodo di inattività ha necessità anche del recupero delle funzioni motorie. “L’intervento riabilitativo inizia dalla terapia intensiva”, spiega Taddei. “Lavoriamo in équipe; iniziamo appena il paziente supera la fase critica e proseguiamo fino alla guarigione, seguendolo anche dopo le dimissioni dell’ospedale. Gli strascichi post Covid si protraggono a distanza di mesi. L’intervento riabilitativo è dedicato a tutte le problematiche che si possono verificare nel paziente ed è mirato su ogni funzione alterata. Per esempio, nel long Covid, molti pazienti accusano una grande fatica dopo uno sforzo, non dobbiamo allenarli a ritrovare le forze ma insegnargli a non raggiungere picchi di fatica.”

“È vero che gli organi più attaccati sono i polmoni, ma abbiamo riscontrato anche altre problematiche, per esempio che i pazienti ipertesi o oncologici sono più a rischio e per questo l’affrontare la terapia in multidisciplinarità aiuta a trovare soluzioni”, commenta Franchi. “Ora abbiamo esperienza per riconoscere le patologie conseguenti al Covid, alcune manifestazioni nella prima ondata non sono state evidenziate. Con il tempo abbiamo registrato l’alterazione della coagulazione che portava allo sviluppo di trombosi e da qui la terapia anticoagulante, si parte con dosaggi preventivi e poi si può modulare seguendo il percorso diagnostico.”

Dai primi casi di Covid ad oggi, sono cambiati i metodi di cura e per il futuro si attendono i nuovi farmaci specifici per questa malattia. Intanto in America e nel Nord Europa sono nati dei centri riabilitativi in cui il paziente può trascorrere la convalescenza, seguìto nel proprio percorso di recupero di una vita normale. “In Italia abbiamo i day hospital – hanno concluso Bargagli e Taddei -, non ci sono strutture dedicate. Potrebbe essere una proposta da avanzare alla direzione per creare strutture dedicate per il long Covid.”