Il prof. Frank Andrasik dell’Università di Memphis ha confermato che, sotto la guida del medico, le pratiche di mindfulness, il cosiddetto vuoto mentale, hanno un’efficacia comparabile ai farmaci convenzionali che talora può essere addirittura superiore perché la mente comanda sul dolore e non è il dolore che comanda sulla mente. Se si riesce a “svuotarla”, si tacita anche il dolore, perché i circuiti nervosi sono gli stessi. Il segreto potrebbe risiedere nella capacità di ridurre i marker dello stress coinvolti nei meccanismi di scatenamento del dolore.
Queste tecniche stanno sempre più emergendo nel trattamento del dolore. Tuttavia, fino allo studio della prof.ssa Licia Grazzi, del Centro Cefalee del Besta di Milano, secondo cui nell’emicrania cronica le tecniche di mindfulness hanno un’efficacia pari a quella dei farmaci comunemente impiegati per la prevenzione degli attacchi in situazione di abuso, non erano mai state provate nell’emicrania e in quella cronica in particolare. Nell’arco di sei settimane il miglioramento nel numero mensile di giorni con mal di testa era del 45,2% in chi praticava la mindfulness e del 41,8% in chi usava i farmaci. Confrontando il ricorso mensile ai farmaci, si osservava uno scarto del 13,4% a sfavore dei farmaci: nei pazienti che praticavano la mindfulness scendeva al 38,3%, mentre negli altri restava al 51,7%. Inizialmente i pazienti avevano in media mal di testa per 20 giorni al mese e usavano farmaci praticamente tutti i giorni.
TRAINING DI MINDFULLNESS
Dopo aver sospeso per 5 giorni le loro usuali terapie in regime di day hospital, i pazienti sono stati sottoposti a un training di mindfulness con sessioni settimanali di 45 minuti, ricevendo le istruzioni per poi praticarlo tutti i giorni a casa, con indicazioni su un più sano stile di vita come per esempio regolari esercizi aerobici. In sei mesi è stata ottenuta una migliorata capacità sia di gestione del dolore sia nella necessità di ricorrere ai farmaci.
Poiché dopo la sospensione di un trattamento in cui si è instaurato abuso i pazienti tendono in genere a migliorare nel breve periodo, per poi tornare ai livelli di sofferenza precedenti, la prof.ssa Grazzi si era premurata di sottolineare che avrebbe tenuto sotto osservazione i suoi pazienti per verificare se a distanza di un anno la mindfulness avrebbe mantenuto le promesse. I risultati esposti non solo ne hanno confermato l’efficacia, ma addirittura indicano che può essere superiore ai trattamenti farmacologici, forse grazie alla capacità di ridurre quegli indici infiammatori che aumentano nelle situazioni di stress come l’interlukina-6 che notoriamente gioca un importante ruolo nel controllo del dolore.