Mepolizumab, anticorpo monoclonale per il trattamento della sindrome di Churg-Strauss o granulomatosi eosinofilica con poliangite EGPA”

Febbre, stanchezza, calo ponderale, dolori articolari e ai muscoli. L’acronimo EGPA nasconde una malattia rara, conosciuta sia come granulomatosi eosinofilica con poliangite sia come sindrome di Churg-Strauss, dal nome dei 2 scienziati che la scoprirono nel 1951. La prevalenza in Italia è ancora difficile da quantificare: in generale si stima un’incidenza di 0,5-4,2 casi per milione di abitanti. A causare la condizione, un’infiammazione eosinofila che colpisce le pareti dei vasi sanguigni di piccole e medie dimensioni e può comportare seri problemi a diversi organi: il polmone in primis, ma anche alle alte vie aeree, ai reni, al cuore, all’intestino, alla stessa pelle. Si tratta quindi di una patologia grave, multisistemica e potenzialmente letale, con ogni organo che potrebbe essere compromesso dall’infiammazione, anche irreversibilmente.

L’EGPA evolve attraverso 3 fasi, la cui durata nel tempo può variare da paziente a paziente, andando a coprire intervalli fino a 20 anni nei casi a decorso più lento. La prima, chiamata prodromica, è caratterizzata da uno stato di infiammazione alle alte e alle basse vie respiratorie, e si manifesta con asma e rinite allergica, a volte accompagnate da poliposi nasale. Nella fase successiva, eosinofila, i protagonisti diventano gli eosinofili, cellule del sistema immunitario: nell’EGPA i valori medi di eosinofilia sono generalmente pari o superiori a 1.500 cellule per microlitro di sangue, oppure superiori al 10% del totale dei leucociti, a fronte di valori di riferimento per le persone sane normalmente compresi tra 0 e 500 cellule per microlitro (0-5% del totale dei leucociti), con conseguente pericoloso accumulo nei tessuti. In questo stadio, anche gli ANCA (anticorpi anticitoplasma) possono entrare in azione e creare danni. Le manifestazioni comprendono febbre, stanchezza, perdita di peso, dolori articolari, ai muscoli e disfunzione dell’organo maggiormente colpito dall’infiltrazione. La terza fase è detta vasculitica e determina un interessamento sistemico. Tra gli organi più colpiti figura il polmone. Altri bersagli sono i reni, il cuore e l’intestino: in quest’ultimo caso, l’addensamento degli eosinofili provoca dei micro-infarti mandando in necrosi le parti che non ricevono più il sangue. A volte vengono interessati più organi contemporaneamente e può accadere che la vasculite colpisca anche il sistema nervoso, con perdita di sensibilità o di mobilità dei muscoli. A complicare ulteriormente il quadro, le fasi della malattia possono non presentarsi in ordine consequenziale, ma manifestarsi in modo misto e sovrapposto.

Le cause sono ancora da approfondire. Tuttavia, l’importanza delle manifestazioni allergiche suggerisce un processo autoimmune. Grave l’impatto sulla vita dei pazienti, sia dal punto di vista fisico sia psicologico. Dolore, sensazione di smarrimento e difficoltà a essere diagnosticati precocemente – possono essere necessari dai 7 ai 10 anni – sono gli aspetti maggiormente riferiti dai pazienti. I sintomi descritti suggeriscono allo specialista – Immunologo, Allergologo, Reumatologo, Pneumologo – di eseguire esami di laboratorio specifici che riescono a intercettare “l’esplosione eosinofila” grazie al dosaggio dell’emocromo, alla formula leucocitaria ed ECP (proteina cationica eosinofila, una proteina rilasciata dagli eosinofili), unitamente ad un controllo di un marker d’infiammazione come la VES.

Fatta la diagnosi, inizia il percorso di cura. Le terapie tradizionali, come i corticosteroidi e gli immunosoppressori, hanno un impatto limitato sull’EGPA, perché non agiscono all’origine e aumentano il rischio infettivo. L’anticorpo monoclonale mepolizumab agisce invece direttamente sulle cause molecolari e biologiche, dell’EGPA come delle altre patologie eosinofile. Nello studio registrativo Mirra, pubblicato nel 2017 sul New England Journal of Medicine, è stato evidenziato come a 24 settimane oltre la metà dei pazienti in cura con mepolizumab fosse in remissione di malattia e l’uso del farmaco abbia permesso di ridurre significativamente il consumo di corticosteroidi orali necessari per mantenere la malattia sotto controllo, contribuendo al miglioramento della qualità di vita dei pazienti, così come confermato poi dallo studio Mars, pubblicato su Modern Rheumatology, che ha valutato la sicurezza e l’efficacia a lungo termine. Ancora dopo 4 anni di trattamento, sono stati osservati una significativa riduzione mediana dei corticosteroidi orali, un controllo dei sintomi e nessun evento avverso correlato al farmaco.