Malattia renale cronica. Aifa approva rimborsabilità per empagliflozin

Boehringer Ingelheim e Eli-Lilly annunciano che l’Agenzia Italiana del Farmaco Aifa ha approvato la rimborsabilità di empagliflozin, inibitore reversibile e selettivo del co-trasportatore sodio-glucosio di tipo 2 (SGLT-2), per il trattamento della malattia renale cronica MRC nei pazienti adulti, come da Gazzetta Ufficiale, numero 188 del 12 agosto 2024. L’indicazione di empagliflozin per il trattamento della malattia renale cronica si fonda sui risultati dello studio clinico di fase III Empa-Kidney, e contribuisce a rispondere a un importante bisogno insoddisfatto in termini di efficacia nel rallentare il deterioramento della funzione renale. Lo studio rappresenta il più ampio trial clinico mai condotto con un SGLT-2 inibitore e valutava l’efficacia e la sicurezza di empagliflozin su una estesa popolazione di oltre 6.600 pazienti con malattia renale cronica, in un ampio range di valori di filtrato glomerulare (eGFR) e con albuminuria assente o di vari gradi, includendo anche pazienti che sono stati completamente esclusi o sottorappresentati nei precedenti studi pivotal sulla MRC, riflettendo così il reale contesto assistenziale.

I risultati dello studio Empa-Kidney dimostrano che, in aggiunta allo standard di cura, empagliflozin è efficace nel rallentare la progressione della malattia o la morte per cause cardiovascolari, con una riduzione del rischio relativo del -28% rispetto al placebo (HR 0.72, IC95% 0.64-0.82; p<0.000001). Il trattamento con empagliflozin è risultato efficace indipendentemente dalla presenza di diabete, dai livelli di eGFR (fino a 20mL/min) e dalla presenza ed entità dell’albuminuria al basale. Inoltre, il trattamento con empagliflozin ha ridotto significativamente il numero di ospedalizzazioni per ogni causa, con una riduzione del rischio relativo del 14% (HR 0.86, IC 95% 0.78- 0.95; p=0.003) rispetto al placebo. Gli aggiornamenti delle linee guida internazionali dell’organizzazione mondiale Kidney Disease: Improving Global Outcomes, le KDIGO 2024 Clinical Practice Guideline per la malattia renale cronica, riconoscono ampiamente queste evidenze, raccomandando di utilizzare la terapia con inibitore di SGLT-2 come trattamento di prima linea per la malattia renale cronica. Empagliflozin si profila dunque come una valida opportunità terapeutica in grado di migliorare la gestione dei pazienti con malattia renale cronica che sono scarsamente controllati con l’attuale standard di cura.

“L’approvazione di empagliflozin rappresenta un enorme passo avanti nel trattamento della malattia renale cronica, condizione clinica complessa con andamento progressivo e prognosi negativa, caratterizzata da una continua evoluzione verso gli stadi più avanzati, e che richiede un’importante assistenza e significativi oneri economici”, dichiara Luca De Nicola, professore di Nefrologia presso l’Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli. “Empagliflozin ha dimostrato di essere in grado di rallentare significativamente la progressiva evoluzione del danno renale e cardiovascolare in un’ampia popolazione di pazienti affetti da MRC, con e senza diabete, includendo anche pazienti con albuminuria di vari gradi, anche assente o di basso grado. Bisogna però sottolineare l’importanza di una diagnosi precoce della malattia renale cronica, raggiungibile attraverso azioni mirate ad intercettare la malattia nelle sue fasi iniziali, specialmente nei soggetti ad alto rischio di svilupparla, come i pazienti con diabete, ipertensione, cardiopatie e obesità.”

La diagnosi precoce è infatti un elemento cruciale nel trattamento della malattia renale cronica, perché la quasi totale assenza di sintomi specifici negli stadi iniziali della patologia comporta il rischio di un riconoscimento tardivo. La malattia renale cronica è una condizione di alterata funzionalità renale, caratterizzata dalla presenza di danno o diminuzione della funzione renale, che persiste per più di 3 mesi. Si tratta di una condizione clinica con andamento progressivo e prognosi negativa, che stima una prevalenza in Italia pari al 7-10% della popolazione adulta, ovvero circa 3,5-5milioni di pazienti.