Per rendere veramente efficace la lotta alle mutilazioni genitali femminili (MGF) è necessario investire risorse finanziarie e professionali e fare in modo che ci sia un grande sforzo congiunto di operatori sanitari e istituzioni politiche a livello nazionale e internazionale. È quanto è emerso nel corso della Conferenza Internazionale contro la violenza di genere, dal titolo Mutilazioni Genitali Femminili. Restituire Dignità e Salute alle Donne tra Nord e Sud del Mondo, svoltasi a Roma, presso il Ministero della Salute in occasione della Giornata Mondiale Contro le Mutilazioni Genitali Femminili, e che ha messo in luce come la pandemia di Covid-19 abbia assorbito la maggior parte delle risorse finanziare, portando a un arresto del contrasto alle MGF, tornate ad aumentare.
L’evento, promosso e organizzato dal prof. Aldo Morrone, direttore scientifico dell’IRCCS San Gallicano, ha voluto fare il punto sulla situazione delle MGF in Italia e nel mondo nel tentativo di delineare strategie efficaci per il loro contrasto. È stata in particolare ribadita la necessità che tutti i Paesi aderenti all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite attuino realmente l’obiettivo 5.3, che così recita: “Eliminare tutte le pratiche nocive, come il matrimonio delle bambine, forzato e combinato e le mutilazioni dei genitali femminili”. Fondamentale anche aumentare la conoscenza di questa pratica tra tutti gli operatori sociosanitari. Dal convegno è infatti emerso che ancora in troppi non sanno di che cosa si tratti e non sono quindi in grado di riconoscerla né contrastarla. Un grande aiuto verrebbe di certo dall’istituzione di una grande conferenza internazionale organizzata dalle Nazioni Unite, con un investimento finanziario strutturale e professionale come si è fatto intelligentemente per la Pandemia da Covid-19. “Se vogliamo davvero l’eliminazione della pratica delle mutilazioni genitali femminili, dobbiamo ancora molto, molto, molto impegnarci perché dinanzi ai piccoli miglioramenti che avevamo fino al 2019, la pandemia da Covid-19 ha definitivamente distrutto questi risultati”, dichiara Morrone. “C’è stato un peggioramento netto in questi 3 anni, c’è stato l’aumento annuale di almeno un altro milione di bambine che sono state infibulate. Abbiamo decisamente bisogno di un investimento maggiore, perché c’è molto da fare, dal punto di vista strutturale, professionale ed economico. Abbiamo la necessità di sensibilizzare i nostri operatori sanitari, creare corsi di formazione su queste tematiche, un investimento internazionale per porre fine definitivamente a questa pratica, soprattutto nei Paesi a forte tradizione rescissorea, in Africa, in Medioriente, in estremo Oriente.”
“La dignità viene lesionata in modo grave da questa pratica barbarica che io posso definire in termini inequivocabili come un genocidio contro la dignità del corpo femminile”, dichiara l’Imam Nader Akkad, della Grande Moschea di Roma. “È uno sterminio, un terrorismo che viene commesso contro il corpo della donna, nelle parti più importanti. Ricordiamo che tutti noi abbiamo fatto l’esperienza di passare dal ventre di una donna. Mutilare quelle parti significa mutilare la dignità non soltanto delle donne ma di tutta l’umanità.”
“Questa pratica deve essere contrastata con coraggio”, afferma il ministro della Salute, Orazio Schillaci. “In linea con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda ONU 2030, dobbiamo continuare a lavorare per la promozione della salute delle donne, obiettivo strategico che misura la qualità, l’efficacia e l’equità del nostro Sistema sanitario. È perciò fondamentale sostenere ogni iniziativa diretta a eliminare le disuguaglianze per difendere il diritto costituzionale alla tutela della salute di ogni cittadino.”
I NUMERI
Secondo le stime dell’ONU, sono oltre 250milioni le donne che in tutto il mondo hanno subìto una mutilazione genitale femminile e sono oltre 4milioni le bambine a rischio di essere mutilate ogni anno. Questa pratica è ancora attiva in oltre 30 Paesi tra Africa e Medio Oriente, ma il fenomeno interessa anche donne immigrate che vivono in Europa occidentale, Nord America, Australia e Nuova Zelanda. Oltre la metà delle ragazze che ha subìto una forma di MGF non aveva compiuto ancora 5 anni di vita, mentre sarebbero almeno 44milioni le bambine e adolescenti ad averle subite entro i 14 anni. In questa fascia di età, la prevalenza maggiore è stata riscontrata in Gambia, con il 56%, in Mauritania con il 54% e in Indonesia, dove circa la metà delle bambine fino a 11 anni avrebbe subìto una delle diverse forme di mutilazione.
I Paesi con la più alta prevalenza tra le ragazze e le donne tra i 15 e i 49 anni sono Somalia (98%), Guinea (97%) e Djibouti (93%). Anziché diminuire con il tempo, queste pratiche sembrano diventare ancora più diffuse, anche a causa del fenomeno migratorio, con il risultato di essere oggi presenti anche in paesi dove prima erano sconosciute come nel caso degli Stati Uniti, dove il numero degli interventi è addirittura triplicato negli ultimi anni. A febbraio 2022 la Commissione Europea stimava che, solo in 13 Paesi europei, almeno 180mila bambine continuassero a essere a rischio mutilazione; sarebbero invece 600mila le donne che convivono con le conseguenze delle MGF in Europa. In Italia, una stima approssimativa delle donne che hanno subìto una delle forme di MGF nei propri Paesi di origine e che ora vivono in Italia indicherebbe circa 88mila donne, delle quali oltre 7mila minorenni.
Le MGF comportano un onere economico di 1,4miliardi di dollari all’anno, che salirà a 2,1miliardi all’anno entro il 2047. Attualmente, questo costo rappresenta il 9-30% dell’attuale spesa sanitaria pro capite nei 27 Paesi africani con la più alta incidenza di MGF. L’abbandono completo ridurrebbe l’onere futuro a 0,8miliardi di dollari all’anno entro il 2047. Le MGF non sono solo una violazione dei diritti umani e un problema sanitario, ma anche un notevole onere economico che può essere evitato attraverso efficaci strategie di prevenzione per giungere alla loro eliminazione definitiva.