Leucemia mieloide cronica. In sperimentazione nuove opzioni terapeutiche

Sono circa 100mila i pazienti nel mondo, di cui 9mila in Italia. La leucemia mieloide cronica, rara forma di tumore del sangue, è responsabile del 15% del totale dei casi di chi è affetto dalla proliferazione incontrollata di globuli bianchi nel sangue. Grazie allo sviluppo di terapie basate sulla somministrazione di inibitori tirosin-chinasici, nel tempo la prognosi per i pazienti è nettamente migliorata. Se in passato l’aspettativa di vita si aggirava intorno ai 5-7 anni, oggi chi è colpito da questa tipologia di leucemia ha la stessa aspettativa della popolazione generale. Accade però spesso che i pazienti sviluppino intolleranza o resistenza ai farmaci di prima e seconda linea. Il solo modo per evitare che la malattia progredisca verso stadi più avanzati è ricorrere a farmaci di terza fascia. “Da oltre 20anni siamo in prima linea per trasformare il paradigma terapeutico nel campo della leucemia mieloide cronica. Asciminib è solo l’ultima testimonianza di questo impegno”, dichiara Paola Coco, cso & medical affairs head Novartis Italia facendo riferimento al farmaco su cui si stanno conducendo studi e sperimentazioni. “A differenza degli altri inibitori fin qui utilizzati – afferma il prof. Fausto Castagnetti, docente di Ematologia all’Università di Bologna – asciminib si lega in maniera altamente specifica alla tirosin-chinasi BCR-ABL1, l’‘interruttore’ che ‘accende’ la malattia. Risulta quindi efficace e con un buon profilo di tollerabilità. La fase terza dello studio ha evidenziato che dopo 24 settimane di trattamento c’è un tasso di risposta molecolare maggiore quasi doppio rispetto a un altro inibitore tirosin-chinasico: la percentuale è del 25,5% rispetto al 13,2% di un diverso inibitore. L’efficacia è confermata anche a 96 settimane, con un tasso di risposta che per asciminib è del 37,6% mentre per altri trattamenti è del 15,8%.”

“Una survey della Fondazione Gimema – Gruppo Italiano Malattie Ematologiche dell’Adulto, a cui hanno risposto oltre 70 Istituti ematologici in tutto il Paese, ha evidenziato che l’89% dei medici utilizzerebbe la nuova terapia come trattamento di terza linea in chi sviluppa resistenza; il 98% la considera adatta anche per gli anziani proprio per la sua tollerabilità”, dichiara il prof. Massimo Breccia, docente di Ematologia all’Università Sapienza di Roma. “È importante mettere a disposizione nuove opzioni terapeutiche efficaci, ben tollerate e capaci di garantire una buona qualità di vita”, commenta il prof. Fabrizio Pane, Università Federico II di Napoli. “Per i pazienti gli aspetti più importanti sono due: frenare la progressione della malattia e raggiungere una buona qualità di vita.”