La salute dei migranti fa i conti con la paura

Sono spesso vittime di quella discriminazione che li ritiene responsabili di veicolare malattie contagiose o comunque non presenti in Italia. Nel nostro Paese, infatti, è piuttosto ampia la fascia di popolazione convinta che vi sia un’associazione tra immigrazione e importazione di malattie infettive. Una percezione tanto comune quanto infondata visto che non esiste un’associazione sistematica tra migranti e dilagare di malattie, neppure per la temuta TBC. Questo non significa, ovviamente, che i migranti che arrivano in Italia siano in buone condizioni di salute. I più comuni problemi sanitari dei rifugiati e dei migranti sono, secondo l’OMS, quelli legati al viaggio e agli abusi subiti: lesioni accidentali, ipotermia, ustioni, eventi cardiovascolari e complicanze legate al diabete e all’ipertensione. Le donne affrontano una sfida in più, legata alla gravidanza (spesso frutto di una violenza) e alla salute dei figli, per lo più neonati o comunque molto piccoli. I bambini, infatti, sono i più vulnerabili soggetti a infezioni acute come quelle alle vie respiratorie e alla diarrea, legate a condizioni di vita in povertà e alle privazioni durante la migrazione. Infine, la mancanza di igiene e la costretta promiscuità portano a infezioni cutanee dermatologiche (eruzioni, scabbia, ecc.) che sono i problemi che più di altri richiedono accesso a cure acute.

“Quando si parla di salute degli immigrati spesso ci si limita ai dati sulle interruzioni volontarie di gravidanza dimenticando, per esempio, che l’incidenza dei tumori femminili è molto alta e molto c’è da fare”, afferma Daniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio di Roma per i servizi agli immigrati. “L’accesso alle cure, alla prevenzione, alla diagnosi precoce nel nostro Paese è all’avanguardia perché il Servizio Sanitario Nazionale garantisce il diritto alla salute a tutti, anche agli irregolari, così si tutela la salute dell’intera collettività. Ma le donne hanno paura. Non lo sanno. Oppure hanno degli ostacoli culturali che meritano rispetto: a volte basta mettere loro a disposizione una ginecologa donna per poter abbattere questi muri. E poi pensiamo ai bambini che molte volte arrivano in Italia e non sono vaccinati o hanno dovuto interrompere il calendario vaccinale: dobbiamo tutelarli per evitare che si ammalino una volta arrivati nel nostro Paese e per favorire l’inserimento nelle scuole e tra gli altri bambini.”