
Ipertensione polmonare, la malattia “dei paradossi”: i sintomi sono troppo generici per essere identificati; i pazienti troppo pochi – 3mila in Italia – per venire intercettati da medici non esperti; le terapie ci sono ma non iniziano tempestivamente perché la diagnosi arriva sempre troppo tardi. È una malattia rara ma non trascurata perché il Sistema Sanitario Nazionale se ne fa carico; è rara ma non priva di terapia perché la ricerca ha messo a punto farmaci sempre più efficaci, come per esempio il riociguat, capostipite della nuova classe degli stimolatori della guanilato-ciclasi solubile. Rimane tuttavia spesso “orfana di diagnosi”: pochi la conoscono e i sintomi sono difficili da individuare. E così la “fame d’aria” diventa tale da non rendere possibile nemmeno fare un passo finché l’ultima chance resta il trapianto di polmone.
Rispetto alle altre forme di Ipertensione Polmonare, l’Ipertensione Polmonare Cronica Tromboembolica (CTEPH) ha una soluzione chirurgica (l’endoarteriectomia polmonare – EAP) in quanto è determinata da una causa meccanica. “È l’unica forma di Ipertensione Polmonare dove, nella maggioranza dei pazienti, si ha la guarigione completa e duratura dalla malattia e questo si ottiene mediante l’intervento di EAP”, afferma il prof. Andrea Maria D’Armini, direttore di Cardiochirurgia dell’Università di Pavia, Policlinico San Matteo. “Sulla carta tutti i pazienti con una diagnosi di CTEPH sono operabili, tuttavia ci sono dei casi in cui non è possibile intervenire e i motivi sono diversi: per esempio, se è tecnicamente impossibile, perché l’ostruzione è troppo lontana dal cuore o perché il danno è ormai così di vecchia data che non si riesce neppure più a distinguere l’arteria polmonare a valle dell’ostruzione.”