
Secondo alcuni ricercatori del Jockey Club School of Public Health and Primary Care della Chinese University di Hong Kong, l’esposizione alle particelle fini che caratterizzano l’inquinamento atmosferico influenza la qualità degli spermatozoi e la fertilità degli uomini. Gli studiosi hanno esaminato l’esposizione a breve e a lungo termine al particolato presente nell’inquinamento atmosferico, noto come PM 2,5, costituito da particelle così piccole da riuscire a penetrare in profondità nei polmoni e di giungere persino nel flusso sanguigno. L’équipe di ricerca guidata da Xiang Qian Lao ha analizzato i campioni di liquido seminale di 6500 uomini dell’isola di Taiwan di età compresa tra 15 e 49 anni e ha valutato la qualità degli spermatozoi misurando il numero totale, le loro dimensioni, forma e capacità di movimento. Sebbene i livelli di particolato fossero nel range di sicurezza, con circa la metà sotto i 26 microgrammi di particolato per metro cubo di aria, i ricercatori hanno osservato che per ogni aumento di cinque microgrammi di esposizione la concentrazione di spermatozoi aumentava leggermente, mentre il rischio di avere uno spermatozoo dalla forma anomala aumentava del 18% con l’esposizione a breve termine e del 26% con l’esposizione a lungo termine.
“Il particolato contiene molte sostanze chimiche tossiche come metalli pesanti e idrocarburi policlici aromatici, che hanno mostrato di essere dannosi per la qualità dello sperma in studi di laboratorio”, spiega Lao, autore principale dello studio. “La forma e le dimensioni dello sperma sono un parametro importante per la fertilità.”
“In questo studio – dichiara il prof. Aldo Franco De Rose, Urologo e Andrologo genovese e Presidente dell’Associazione Andrologi Italiani – a modificarsi e quindi a peggiorare è essenzialmente la morfologia, mentre il numero di spermatozoi rimane abbastanza alta. Se associamo però i danni dell’inquinamento a quello alimentare, come il consumo di carni ricche di estrogeni e antibiotici, questo spiega anche il calo del numero degli spermatozoi e quindi della capacità fecondante degli spermatozoi.” Lo studio è stato pubblicato su BMJ Occupational and Environmental Medicine.