Tra i temi trattati al recente Congresso Conoscere e Curare il Cuore, organizzato dalla Fondazione “Centro per la Lotta Contro l’Infarto”, emerge sicuramente l’infiammazione, che in cardiologia si manifesta come infiammazione coronarica. All’interno di un processo di medicina personalizzata, c’è un forte bisogno di individuare accuratamente pazienti ad alto rischio. Oggi, l’infiammazione può essere individuata in modo sistemico grazie a marker che misurano l’infiammazione del sangue. Le cellule infiammatorie hanno un ruolo determinante nella crescita delle lesioni aterosclerotiche. La sindrome coronarica acuta tende a manifestarsi in presenza di un’alta concentrazione di marker infiammatori nel sangue, come la proteina C-reattiva ad alta sensibilità, la mieloperossidasi neutrofila, la protocalcitonina e i globuli bianchi. Esistono dati assai convincenti che dimostrano un collegamento tra le infezioni acute ed i loro effetti diretti sulle placche aterosclerotiche. Infatti, le persone che muoiono a causa di infezioni acute sistemiche hanno un alto numero di macrofagi e cellule T nel grasso periavventiziale delle coronarie.
LA SIGARETTA ELETTRONICA FA BENE AL CUORE?
Nello studio SUR-VAPES 2 sono stati randomizzati 20 fumatori a fumare sigarette a combustione, E-Cig tradizionali, ed E-Cig tipo HNB. Tutti e tre i tipi di sigarette hanno dimostrato un impatto acuto sfavorevole su pressione arteriosa, vasodilatazione endotelio dipendente, stress ossidativo, e aggregazione piastrinica. Le E-Cig tipo HNB mostravano un effetto ipertensivo ed ossidante meno grave rispetto alle altre sigarette, mentre mostravano un effetto simile a quello delle E-Cig tradizionali in termini di vasodilatazione endotelio dipendente e aggregazione piastrinica. D’altronde, le E-Cig tipo HNB apparivano più appetibili e soddisfacenti delle E-Cig tradizionali. Pertanto, tali risultati supportano il potenziale uso delle E-Cig come prodotto a rischio ridotto (ma non nullo) per supportare la cessazione e l’astinenza dal fumo.
GRASSI E CARBOIDRATI
Alcune recenti pubblicazioni, relative all’effetto dei grassi e dei carboidrati alimentari sul rischio cardiovascolare e sulla mortalità per tutte le cause, hanno dato inizio, sia sui media sia nella letteratura scientifica, ad un dibattito piuttosto intenso. Ad innescarlo sono stati soprattutto i dati ottenuti nello studio PURE (Prospective Urban Rural Epidemiology), un grande studio osservazionale, disegnato con l’obiettivo di raccogliere informazioni sulla relazione tra stili di vita, alimentazione e rischio cardiovascolare anche nei Paesi con un reddito pro capite basso o intermedio, arruolando soggetti residenti in ambiti sia rurali sia cittadini, coordinato dal gruppo canadese di Salim Yusuf alla McMaster University. I risultati dello studio possono essere così sintetizzati: la mortalità (sia totale e sia per eventi cardiovascolari) diminuisce con il crescere dell’apporto calorico da grassi totali, e non è sostanzialmente influenzata dall’apporto di grassi saturi, nemmeno quando questo è molto elevato; con il crescere dell’apporto di grassi mono e poli-insaturi la mortalità tende invece a ridursi. Se le calorie da carboidrati eccedono il 60% circa dell’apporto calorico, per converso, la mortalità totale inizia a salire, muovendosi in parallelo a quella per eventi cardiovascolari.