“Le infezioni dei casi in Italia non hanno una chiara storia epidemiologica”

Il paziente zero non si trova e l’unica possibilità di difesa per non infettarsi si chiama isolamento: non uscire, non frequentare luoghi affollati. In pratica, se il paziente zero continua a girare e a infettare, diviene ovviamente più difficile arginare i focolai dell’infezione già attivi. Questo anche a causa del tasso di trasmissione (stimato essere di circa 2,2) con cui il virus SARS-CoV-2 è capace di propagarsi, con ogni soggetto infetto in grado di contagiarne, almeno, altri due. In poche ore, i casi di COVID-19 sul nostro territorio hanno infatti superato quota 132. Di questi, 26 sono in terapia intensiva. Oltre ai 2 decessi registrati sinora, i casi di infezione sono così distribuiti:

  • LOMBARDIA 89
  • VENETO 25
  • EMILIA-ROMAGNA 9
  • PIEMONTE 6

Rispetto alla mortalità, molto dipende dalle condizioni generali e dalle difese immunitarie del paziente infettato. Come ripetono gli esperti nell’analizzare l’evolversi della situazione, nel 98% di tutti i casi registrati in Cina, oltre l’80% delle persone infettate ha avuto sintomi lievi; meno del 15% è in condizioni serie e solo nel 5% dei casi si registra una patologia grave. Al momento, la mortalità osservata è di poco superiore al 2%, e ha riguardato per la maggior parte persone anziane con patologie pregresse. Detto questo, nelle aree italiane colpite il rischio di infezione può essere alto e per questo i residenti devono seguire le disposizioni e le raccomandazioni delle autorità. In ogni caso, anche il direttore OMS per l’Europa, Hans Kluge, in una intervista a La Repubblica, esprime preoccupazioni: “Quello che preoccupa della situazione italiana è che non tutti i casi registrati sembrano avere una chiara storia epidemiologica, cioè un legame con viaggi in Cina o contatti con altri casi già confermati.”