L’infermiere di famiglia

“La figura dell’infermiere di famiglia raccomandata dall’Oms è dunque strategica e ormai ineludibile”, dichiara Giuseppe Salamina, epidemiologo, coordinatore del progetto europeo CoNSENSo (Community Nurse Supporting Elderly iN a changing Society). “Occorre creare una rete specializzata di assistenza a domicilio a carico del Servizio Sanitario sia per risparmiare sui debordanti costi ospedalieri che per sottrarre le famiglie al peso spesso insopportabile di un caregiver privato. Basti pensare che nel solo 2016 tutto ciò è costato 15miliardi di euro, 3,5 dei quali a carico dei famigliari.”

In molte regioni italiane si stanno perciò sviluppando iniziative più o meno sperimentali. In questo contesto si inserisce quella coordinata dal dott. Salamina per conto dalla ASL di Torino all’interno del progetto CoNSENSo che nell’Area Alpina ha coinvolto Piemonte come capofila, Liguria, Provenza-Alpi-Costa Azzurra, Carinzia e Slovenia, con la sperimentazione del ruolo dell’infermiere di famiglia nell’assistenza agli anziani e alle famiglie in aree rurali e montane particolarmente disagiate. Si tratta di operatori con specifiche competenze nel lavoro di comunità, di integrazione tra i diversi servizi, di promozione della salute e di empowerment comunitario. Un’esperienza di assoluto valore presa subito a modello per analoghe iniziative da dodici regioni, tra cui Lombardia, Liguria, Lazio e Campania.

Di fatto l’infermiere di famiglia e comunità non esiste ancora, benché esistano i servizi domiciliari sviluppati dalle regioni che, per di più, coprono il fabbisogno solo a macchie di leopardo. Specifici master formativi sono però attivi in vari atenei: in Toscana l’Università di Pisa nella sede distaccata di Lucca, in Piemonte a Torino e Novara, in Lombardia a Milano e Brescia, nelle Marche ad Ancona e altre ancora. I dati più recenti parlano di 5400 specialisti che hanno già conseguito il master, mentre si sta ancora discutendo sul modello formativo più efficace.

“La nostra idea è stata di utilizzare una figura di infermiere formato sia come profilo tecnico sia sotto l’aspetto relazionale con i pazienti, ossia un operatore capace di prendersi cura di un gruppo predefinito di famiglie e di svolgere anche funzioni proattive lavorando a fianco di medici generalisti, con il volontariato, l’associazionismo, le parrocchie”, spiega Salamina. In Toscana la Regione ha messo a fuoco altre specificità: non si tratta solo di sorvegliare l’assunzione dei farmaci e rilasciare prestazioni, ma anche di rapportarsi con gli stili di vita (alimentazione, attività fisica, ecc.), consigliare il paziente, seguirlo per poi confrontarsi con gli altri professionisti, costruendo in pratica un circuito e un progetto a misura della persona. Detto questo, tuttavia, non si sa ancora né se debba essere il bagaglio professionale di ogni infermiere né quanti assistiti toccheranno a ciascuno.