Uno studio condotto su 39.457 persone ricoverate negli USA fra il 2007 e il 2017, recentemente pubblicato su Neurology, denuncia un aumento dell’ictus emorragico soprattutto nelle donne anziane: 13 casi su 100mila in confronto ai 10 dei maschi, nei quali il rischio aumenta con l’età; a 50 anni, i casi maschili sono 4 su 100mila, ma salgono a 22 dopo i 65. Se l’incremento annuo è per tutti dello 0,7%, nei maschi a 50 anni è dell’1,1%, e dopo i 65 del 2,3%, mentre nelle donne resta costante e in quelle giovani va addirittura riducendosi. Un’ulteriore sorpresa emersa dallo studio – valida anche per il nostro Paese, ormai divenuto multietnico – è la sproporzionata prevalenza nei neri, con 15 casi su 100mila e un incremento annuo dell’1,8% non rilevabili negli asiatici o nei bianchi non ispanici che presentano una media di 10 casi su 100mila. Il motivo è da ricercarsi tra l’altro nella maggior frequenza di ipertensione geneticamente determinata dei neri che li espone anche a maggior rischio di emorragie subaracnoidee, rottura di aneurismi, etc. Il problema è ulteriormente accentuato dalla disparità razziale di trattamento che, almeno negli USA, allunga i tempi d’intervento.
“Il cervello è l’organo più delicato che possediamo e subisce velocemente danni che rapidamente diventano irreversibili”, afferma il prof. Alfredo Berardelli, Presidente della Società Italiana di Neurologia. “È fondamentale quindi saper riconoscere immediatamente i sintomi dell’ictus per poter mettere chi ne soffre nelle migliori condizioni possibili di ricevere una cura adeguata. La comparsa improvvisa di perdita di forza o sensibilità a un braccio o a una gamba, la bocca che si storce, l’oscuramento o la perdita della vista da un solo occhio o in una parte del campo visivo, l’incapacità di esprimersi o di comprendere ciò che ci viene detto, un mal di testa violento, sono tutte potenziali manifestazioni di un ictus. Di fronte a questi sintomi, è importante chiamare subito il 118 o recarsi in ospedale, perché la possibilità di essere curati è legata alla precocità della somministrazione delle terapie.”
È fondamentale ribadire che il ricovero deve avvenire sempre in una Unità Neurovascolare o Stroke Unit. Si tratta di strutture dedicate alla cura dell’ictus, dove lavora personale altamente preparato, in grado di fare una diagnosi corretta e di individuare la cura adeguata nel minor tempo possibile oltre a saper gestire tutte le esigenze dei pazienti inclusa l’alimentazione, la necessità di un intervento riabilitativo precoce e la prevenzione delle complicanze. Più precoce è l’intervento, più sono efficaci le terapie, minori sono le complicanze del trattamento. Per le emorragie, esistono tutta una serie di indicazioni rivolte al contenimento dell’estensione del sanguinamento, mentre sono in fase di sviluppo veri e propri approcci di terapia specifica. Per l’ischemia, sono invece disponibili già da tempo farmaci fibrinolitici che dissolvono il materiale ostruttivo a livello arterioso, permettendo quindi di ripristinare il flusso di sangue e limitare i danni al tessuto cerebrale. In alcuni casi, la terapia farmacologica può essere associata o sostituita dai trattamenti endovascolari. Attraverso un catetere inserito nell’arteria femorale, si risale fino al cervello e nella zona in cui è presente l’ostruzione vengono aperti dei tubicini metallici (stent) in modo da ricostituire un passaggio per il flusso sanguigno e rimuovere il materiale ostruttivo. Si tratta di tecniche che richiedono una alta specializzazione e che, per tale motivo, non possono essere effettuate ovunque, ma solo ed esclusivamente negli ospedali dotati di Stroke Unit.
Oggi, grazie all’impiego di tecniche di neuroradiologia funzionale che permettono di verificare lo stato di vitalità del cervello nella zona ischemica, si è in grado – in pazienti selezionati – di estendere la possibilità di trattamento fino a 9 ore per la fibrinolisi e a 24 ore per la trombectomia meccanica, senza mai dimenticare che più gli interventi sono precoci, più sono efficaci e sicuri.
Fondamentale il ruolo della prevenzione, ancora più importante in relazione all’aumento generale del rischio di malattie circolatorie legato alla crescita dell’età media della popolazione. Molti ictus potrebbero essere prevenuti semplicemente curando adeguatamente i fattori di rischio modificabili come l’ipertensione arteriosa, l’aumento dei grassi e degli zuccheri nel sangue, alcune anomalie della funzione cardiaca, in particolare la fibrillazione atriale e prestando attenzione ad alcune abitudini di vita dannose come il fumo, il consumo eccessivo di alcol, l’uso di sostanze di abuso, la sedentarietà l’alimentazione scorretta con conseguente tendenza al sovrappeso fino all’obesità. Dunque, una regolare attività fisica – gli esperti raccomandano mezz’ora di passeggiata, 5-6 volte a settimana – un’alimentazione sana e bilanciata, il controllo della pressione arteriosa e un consulto periodico con il proprio medico di medicina generale, per verificare l’eventuale presenza degli altri fattori di rischio, consentirebbero a ciascuno di vivere serenamente e ridurre in maniera molto sensibile il rischio di ictus.