HIV, COA-ISS: “Nel 60% dei casi l’infezione viene scoperta in fase avanzata”. Ne Parliamo? Le domande dei pazienti, le risposte dei medici

Il 40% delle persone che vive con HIV apprende dell’infezione casualmente e ben 2 su 10 rimandano la comunicazione, principalmente per la paura del giudizio e dell’emarginazione. Secondo gli ultimi dati pubblicati dal Centro Operativo Aids COA dell’Iss, in quasi il 60% dei casi l’infezione viene scoperta in fase avanzata, compromettere potenzialmente l’efficacia delle terapie che, se assunte precocemente, consentono una buona qualità di vita. Parlare di HIV è allora il primo passo per abbattere stigma e pregiudizio, aiutare le persone a vivere meglio e con maggiore serenità: la grande maggioranza delle persone con HIV dichiara infatti che l’infezione può avere forti ripercussioni a livello psicologico, soprattutto a causa di discriminazioni e difficoltà di convivenza con l’infezione. La salute mentale è un punto di forte attenzione: numerose le persone con HIV a rischio di depressione. A pesare sulla qualità di vita, anche la mancata aderenza alle terapie, che interessa oltre 1/3 dei pazienti e che potrebbe invece contribuire a migliorarla sensibilmente. Sono alcuni dei dati emersi da un’indagine, realizzata da Elma Research su 500 pazienti, che restituisce una fotografia del vissuto delle persone con HIV e dei loro bisogni, evidenziando come l’infezione – nonostante importanti progressi terapeutici – abbia ancora un impatto determinante su diversi aspetti della qualità di vita. Proprio a partire dai risultati della ricerca nasce HIV. Ne Parliamo?, campagna di sensibilizzazione, promossa da Gilead Sciences, con il patrocinio di 16 Associazioni di pazienti italiane, della Società Italiana di Malattie Infettive e Tropicali SIMIT e dell’Italian Conference on AIDS and Antiviral Research ICAR. Attraverso la voce di chi vive con l’HIV, l’iniziativa pone l’attenzione sugli aspetti di vita che possono essere migliorati, per prenderne consapevolezza e iniziare ad affrontarli. A partire da una semplice domanda da rivolgere al proprio Medico: “Ne parliamo?”. Dagli aspetti psicologici alle relazioni con gli altri, dal dialogo con il Medico alla corretta assunzione della terapia, la campagna intende offrire, attraverso le storie di chi vive con HIV, spunti di riflessione sulla propria condizione e informazioni utili per migliorarla; i contenuti sono disponibili sul suto hivneparliamo.it. “Considerato che il 95% delle persone comunica l’infezione ma lo fa in modo molto parziale, spesso escludendo familiari e amici, è evidente che c’è ancora una forte componente di stigma e ‘autostigma’ che pesa sulla vita delle persone che scoprono la sieropositività al virus, con un carico che impatta negativamente sulla qualità di vita e sul benessere psicologico”, afferma Gabriella d’Ettorre, del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma. “Un dialogo aperto con il proprio medico, ma anche il supporto delle Associazioni di pazienti, rappresenta un punto cruciale per affrontare e risolvere queste problematiche. Come cruciale è continuare o, ancora meglio, tornare a parlare di HIV, perché chi scopre l’infezione non si senta ‘messo da parte’ né si autoescluda sul piano affettivo, sociale o relazionale. Tornare a parlarne, inoltre, è importante per promuovere l’accesso al test volontario, soprattutto in chi ha comportamenti a rischio, in modo da favorire la diagnosi precoce dell’infezione.”

“Il contrasto all’HIV può infatti contare su strategie terapeutiche efficaci, in grado di azzerare la carica virale, soprattutto se assunte il più precocemente possibile rispetto al momento dell’infezione”, dichiara Andrea Gori, del Dipartimento Malattie Infettive, Ospedale Luigi Sacco, Università di Milano, presidente Anlaids Lombardia. “L’aderenza alla terapia resta però il punto chiave, sebbene – come emerge dall’indagine – circa il 30% dei pazienti non riesca a rispettarla. Essere aderenti alla terapia vuol dire diminuire drasticamente la probabilità di comparsa di mutazioni del virus che possono provocare ‘resistenze ai farmaci anti-HIV’, ossia una ridotta o assente capacità dell’efficacia della terapia stessa. Non solo. Chi segue le indicazioni terapeutiche protegge anche gli altri, poiché azzerando la replicazione del virus non trasmette l’infezione, non è più contagioso. Un concetto rivoluzionario e allo stesso tempo molto semplice che si traduce in U=U (undetectable = untransmittable, non rilevabile uguale non trasmissibile, ndr), ovvero ‘mi curo, non infetto’.”

“Quello della salute mentale e del benessere psicologico più in generale è un aspetto molto importante a cui non sempre viene data la giusta attenzione”, afferma Alessandro Lazzaro, del Dipartimento di Sanità Pubblica e Malattie Infettive, Sapienza Università di Roma. “Numerose sono le persone con HIV a rischio depressione o che presentano disturbi come insonnia, ansia, depressione, che possono avere un impatto importante sulla qualità di vita. Le cause possono essere diverse: lo stigma sociale, purtroppo ancora fortemente presente, è una delle principali. Ma dietro alcuni di questi disturbi può esserci una causa biologica, legata agli effetti del virus o della stessa terapia antiretrovirale. In tale contesto – continua – il dialogo medico-paziente ha un ruolo cruciale per prendere consapevolezza e affrontare queste problematiche, non solo dal punto di vista delle scelte terapeutiche, ma anche per indirizzare chi ne ha bisogno verso un percorso integrato di tipo multidisciplinare.”

Una corretta e diffusa informazione, con la possibilità concreta di controllare l’infezione e impedire la replicazione del virus, promuove l’abbattimento dello stigma che ancora circonda le persone con HIV. Per questo, la campagna non si rivolge soltanto alle persone che vivono con HIV, ma si propone di alimentare il dialogo e rispondere a dubbi e domande della popolazione generale, obiettivo che verrà perseguito grazie anche ad alcuni influencer che coinvolgeranno le proprie community via Instagram sensibilizzandole sull’importanza di parlare di HIV per “abbattere le barriere del pregiudizio dettate dalla non conoscenza e dalla non comprensione”.