A causa dell’invecchiamento della popolazione in Italia, si prevede che il numero di persone affette da demenza quasi triplicherà entro il 2050, passando dai 1,2milioni del 2019 a oltre 3milioni, con costi stimati diretti e indiretti 23miliardi a più di 60miliardi di euro. In Italia sono circa 750mila le persone con declino cognitivo lieve, soggetti con elevatissimo rischio di ammalarsi di Alzheimer; di queste, metà è di fatto già ammalata di una forma molto iniziale di demenza che si svilupperà in modo evidente nei successivi 3-5 anni, mentre l’altra metà rimarrà autonoma e procederà secondo le normali curve di invecchiamento fisiologico. “Occorre tenere presente che esiste una forma prodromica di demenza che viene definita mild cognitive impairment (disturbo cognitivo lieve o MCI dagli anglosassoni)”, dichiara il prof. Paolo Maria Rossini, responsabile del Dipartimento di Neuroscienze dell’IRCCS San Raffaele Roma. “Questi soggetti sono sostanzialmente efficienti ed efficaci da un punto di vista cognitivo, tranne avere uno a più test neuropsicologici alterati. Questa condizione comporta un rischio parecchie volte più elevato della popolazione di eguale sesso/età/scolarità visto che circa il 40% di essa si ammala di una forma di demenza vera e propria nei 3 anni successivi alla diagnosi di MCI.”
L’identificazione all’interno della popolazione di età superiore ai 60 anni di soggetti con disturbo cognitivo lieve in fase prodromica di demenza ovvero di quelle persone che, pur essendo ancora sostanzialmente sane, hanno un elevatissimo rischio di sviluppare demenza, rappresenta una delle urgenze maggiori in tema di politiche sanitarie: “Si tratta infatti di soggetti di fatto già ammalati di una forma molto iniziale di malattia, ma che ignorano di esserlo e che sono ancora perfettamente performanti nelle attività del vivere quotidiano/professionale/sociale/affettivo. Con l’aiuto di biomarcatori di vario tipo (PET, EEG, liquor, genetica, test neuropsicologici, etc.) e dell’intelligenza artificiale i Medici stanno mettendo a punto metodi per scovare per tempo questi individui, prima cioè che manifestino i sintomi irreversibili e progressivi della patologia”, continua Rossini. “Questo potrebbe cambiare il corso delle cure, una volta che si rendessero disponibili dei nuovi farmaci contro l’Alzheimer, la forma più diffusa di demenza, ed anche permettere un intervento mirato e precocissimo con i farmaci attualmente disponibili e sui fattori di rischio/protezione che sono già noti. Arrivare prima significa intervenire su uno scenario in cui molta parte della riserva neurale (cioè quella dote di neuroni e di sinapsi che ognuno di noi possiede ed a cui si può attingere per vicariare, almeno in parte, la funzione svolta da neuroni e sinapsi distrutti dalla malattia) è ancora disponibile e quindi ottenere risultati decisamente superiori nella cura non solo dei sintomi, ma della evoluzione della malattia.”
A tale scopo, sono in corso 2 studi nazionali: Interceptor, che mette a confronto capacità di diagnosi precoce e rapporto costi/benefici di diversi biomarcatori in una popolazione di oltre 300 soggetti con MCI, concluso a fine 2023 e i cui risultati sono in corso di elaborazione da parte dell’Istituto Superiore di Sanità; AI-Mind, studio europeo su intelligenza artificiale e demenze, finanziato dalla Commissione Europea con circa 14milioni di euro e che vede l’Italia partecipare con 4 Unità operative.