Spesso è necessaria una biopsia per confermare il rigetto e diagnosticare la causa della disfunzione di un trapianto. Il test proposto, basato su un pannello di 7 geni, è stato impiegato con successo per supportare la gestione del paziente dopo il trapianto. La procedura fornisce ulteriori informazioni precedentemente non disponibili, ossia un segnale di risposta immune attiva contro il trapianto all’interno del ricevente. Ciò potrebbe aiutare a guidare la terapia anti-rigetto ed evitare biopsie non necessarie, nonché confermare l’eventuale presenza di nefropatie da BK-virus, con un’ulteriore elaborazione dei dati. L’interpretazione di questo test e di altri basati sulla stessa tecnologia, tuttavia, non è semplice, come in effetti non lo è neppure l’obiettivo della medicina personalizzata, anche se pratiche simili rappresentano certamente un passo nella giusta direzione.
Dunque oggi, da una analisi genetica multivariata nel sangue periferico dei pazienti nefrotrapiantati è possibile l’identificazione precoce del rigetto mediato dai linfociti T. A rivelarlo è lo studio KALIBRE, condotto da Maria Hernandez Fuentes, del King’s College London, su 455 pazienti. Il metodo, oltre a risultare affidabile, consente di individuare il fenomeno con alcune settimane di anticipo rispetto agli attuali sistemi diagnostici. Il monitoraggio della funzionalità di un allotrapianto attualmente si basa sulla creatinina sierica, che è un biomarcatore non sensibile né specifico. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista EbioMedicine online 2019.