Nella vita di tutti i giorni spesso capita di sottovalutare le richieste nocive e dannose che il nostro corpo ci manda inconsciamente. Sappiamo davvero quando una tentazione si trasforma in dipendenza? La risposta “Sì ma posso smettere quando voglio” è dietro l’angolo, e la consapevolezza diventa una chiave importante per cambiare atteggiamento e migliorare. Questo il tema dell’appuntamento di giugno del ciclo di incontri “Conosciamoci Meglio” realizzato da Bayer con il patrocinio del Comune di Milano in collaborazione con UNAMSI Unione Nazionale Medico Scientifica di Informazione. L’incontro è stato l’occasione per offrire un quadro aggiornato dal punto di vista psicologico e sociale, volto a comprendere i motivi che si celano dietro a questi fenomeni, sempre più in crescita, in modo da poterli controllare o meglio prevenire.
“La droga non è più quella di una volta, da un lato perché le sostanze sul mercato si moltiplicano, dall’altro siamo noi a non essere più quelli di una volta, perché abbiamo delle aspettative diverse”, spiega Riccardo Gatti, Direttore UOC Programmazione Studi e Ricerche nell’Area Dipendenze, ASST Santi Paolo e Carlo. “Come negli anni Settanta, nel passaggio tra la società agricola e quella industriale, oggi il passaggio tra società post-industriale e società interconnessa crea un vuoto culturale che rischia di essere riempito dal desiderio di alterazione. Un mercato particolarmente aggressivo e in grado di utilizzare tutte le tecnologie di comunicazione dei nuovi media, promuove consenso per l’utilizzo di sostanze legali ed illegali all’interno di situazioni che fanno parte della nostra vita di tutti i giorni, come il lavoro, il gioco, l’amore, ecc. Si diventa così dipendenti, prima ancora che dalle sostanze, dalle situazioni in cui consumarle diventa un must. Si vendono emozioni che generano dipendenza, per riempire il vuoto culturale che ci circonda e che avrebbe bisogno di ben altro per essere colmato.”
“Le dipendenze comportamentali sono un nuovo capitolo della psichiatria, anche se parliamo di vecchie dipendenze come quella del gioco d’azzardo, che è legato all’uomo in maniera quasi indissolubile da secoli”, dichiara Emilio Sacchetti, Presidente Eletto Accademia Italiana di Scienze delle Dipendenze Comportamentali. “L’avvento di internet e delle cosiddette macchine elettroniche da gioco oltre che la diffusione dei locali aperti 24 ore su 24, hanno sicuramente aumentato il numero di fruitori, ma bisogna fare attenzione a non confondere il gioco d’azzardo, con il gioco d’azzardo patologico (solo l’1-2% del giocatori diventano patologici). Il disturbo da gioco d’azzardo ha notevoli possibilità di cura ma, purtroppo, solo il 10-20% dei giocatori patologici chiede aiuto. Quindi, è più importante prevenire, rispettando il più possibile il diritto dei giocatori non patologici di continuare a giocare. In quest’ottica sono possibili varie strategie di intervento: da quelle proibizionistiche più adatte ai minorenni, a quelle più educative per gli adulti che promuovono il gioco responsabile. In ogni caso, bisogna prestare molta attenzione al rischio di promuovere, con questi interventi, il gioco illegale. Infine, non si possono dimenticare le dipendenze da internet, dai videogames e dai social network, che sono sottovalutate come possibile patologie.”
“La maggior parte dei casi che vediamo allo Spazio Psicologico dell’Associazione Amico Charly, riguarda adolescenti con problematiche di origine ansiosa, relative al ritiro sociale. Di solito le paure principali sono due: lo stare in situazioni sociali, soprattutto non conosciute; ed eseguire delle prestazioni non all’altezza delle aspettative, che portano pertanto ad essere giudicabili negativamente dagli altri”, commenta Giulia Meloni, Psicologa, Psicoterapeuta cognitivo-comportamentale, Responsabile dello Spazio Psicologico dell’Associazione. “In questo contesto in cui i ragazzi vedono l’altro come giudicante, fattore di ansia, se non di angoscia in alcuni momenti, è più facile che i social network diventino un rifugio confortevole. Nell’adolescenza, dove è in gioco la costruzione della propria identità, è fondamentale il rapporto con l’altro – il suo sguardo, il suo contatto – perché concorre alla formazione dell’immagine che abbiamo di noi stessi. In internet – sui social network, i videogames, ecc – l’altro non c’è, ma ci sono i suoi corrispettivi simbolici. Per questa ragione bisogna prestare particolare attenzione in fase adolescenziale, perché un abuso di questi strumenti può non contribuire alla formazione di un’identità integrata.”