Fibrosi polmonari, il “fiato corto” da non sottovalutare

Le fibrosi polmonari fanno parte delle cosiddette interstiziopatie polmonari o pneumopatie diffuse infiltrative, caratterizzate dalla formazione irreversibile di tessuto cicatriziale a livello dei polmoni con conseguente compromissione della funzionalità polmonare; malattie rare, se prese singolarmente, ma che nel complesso rappresentano il 25-30% dell’attività pneumologica ospedaliera. Oltre al pesante impatto della diagnosi e della prognosi, queste patologie sono gravate da un complesso e macchinoso iter diagnostico e non tutti i pazienti sono seguiti in Centri di eccellenza in grado di assicurare una presa in carico globale, una maggiore accessibilità alle diverse opzioni terapeutiche oggi disponibili e alle sperimentazioni cliniche. Ancora oggi le malattie rare sono poco conosciute e sottovalutate dai professionisti dell’informazione medico-scientifica, con il risultato di restare in ombra e non ricevere né l’attenzione né tanto meno lo spazio che invece meriterebbero. Per questo sono necessarie una maggiore informazione ed educazione di qualità per pazienti, familiari e giornalisti. A Roma, clinici, associazioni dei pazienti e istituzioni hanno incontrato i giornalisti nel corso di formazione professionale continua Comunicare la Fibrosi Polmonare. Il Racconto sui Media e la Convivenza con la Malattia Attraverso l’Esperienza dei Clinici e dei Pazienti, secondo appuntamento del progetto Be Informed – Accademia di Formazione per i Giornalisti, di Boehringer Ingelheim. Il corso è promosso dal Master SGP della Sapienza Università di Roma con l’obiettivo di fornire ai professionisti dell’informazione le conoscenze, le novità, gli strumenti e gli elementi per informare e comunicare correttamente queste patologie respiratorie.

Le fibrosi polmonari interessano entrambi i polmoni, seppur talvolta in maniera asimmetrica, e rientrano in questa macrofamiglia almeno 200 entità, alcune a causa nota, altre idiopatiche o identificate con mutazioni genetiche. In tutti i casi sono patologie rappresentate da alterazioni funzionali d’organo: riduzione della capacità di mobilizzare volumi d’aria durante gli atti respiratori, riduzione degli indici di diffusione, riduzione dell’ossigeno nel sangue con ipossiemia sotto sforzo o, nelle fasi più avanzate, a riposo. La fibrosi polmonare idiopatica (IPF, idiopathic pulmonary fibrosis) ha un’incidenza di circa 20 nuovi casi per anno su 100mila maschi e 13 nuovi casi per anno su 100mila femmine; tuttavia, il riscontro è in aumento. Fattori di rischio sono l’età (media d’insorgenza 65 anni), il sesso maschile, il fumo di sigaretta e l’esposizione a sostanze inalanti tossiche. La familiarità è documentabile in 1/5 dei casi. “I meccanismi attraverso cui si sviluppa l’IPF possono essere schematicamente riuniti in 3 stadi”, dichiara Venerino Poletti, professore di Malattie dell’Apparato Respiratorio, Alma Mater Studiorum Università di Bologna. “Nella fase iniziale vi è una incapacità delle cellule staminali alveolari a ricostituire il polmone per senescenza. Tuttavia, nel tentativo di differenziarsi esse attivano molte vie molecolari che causano la comparsa, nel parenchima polmonare, di microaree fibrotiche (stadio II). Nello stadio più avanzato questi segnali biochimici e molecolari raggiungono le cellule staminali delle piccole vie aeree di conduzione (i bronchioli) che, del tutto normali, iniziano a proliferare causando la sostituzione del tessuto alveolare con tessuto fibrotico (stadio III). I pazienti con IPF soffrono di dispnea prima da sforzo e poi a riposo lentamente ingravescente, di una tosse secca spesso difficilmente controllabile, di dita ‘a bacchetta di tamburo’.”

Se non trattata, la fibrosi polmonare evolve nell’insufficienza respiratoria in 4-6 anni dalla diagnosi. Complesso e macchinoso il percorso diagnostico basato sulla clinica, sulla presenza all’auscultazione dei tipici rumori di “foglie secche calpestate” (o velcro sounds) e su aspetti della TAC toracica e, quando necessario, della biopsia polmonare. Attualmente sono disponibili farmaci in grado di ridurre il declino funzionale e di prolungare la sopravvivenza. Per questo è importante che i pazienti vengano seguiti in Centri di eccellenza dotati di team multidisciplinare per la complessità della patologia e in grado di assicurare la partecipazione dei pazienti alle sperimentazioni cliniche di nuove terapie. Il trapianto di polmone è un’opzione riservata ai pazienti più giovani (meno dell’8% dei casi). Le fibrosi polmonari secondarie includono quelle conseguenti a malattie reumatiche infiammatorie sistemiche come le connettiviti e l’artrite reumatoide. In particolare, la sclerosi sistemica (SSc) o sclerodermia, malattia della ‘pelle dura’, è la connettivite che più frequentemente può manifestare un impegno polmonare tanto che rappresenta il 20% delle cause di morte in questo gruppo di pazienti.

“La diagnosi precoce è fondamentale in questi malati per eseguire il prima possibile le terapie necessarie a rallentare l’evoluzione fibrotica della malattia, correlata non solo ad una severa alterazione della qualità di vita ma anche a prognosi infausta”, dichiara Dilia Giuggioli, professore associato di Reumatologia, direttore dell’Unità di Sclerodermia AOU di Modena – Reggio Emilia. “La malattia interstiziale polmonare è presente in forma mild nell’80-90% dei pazienti e, secondo i dati del Registro Italiano della SSc, Spring, un impegno polmonare risulta già evidente nel 20% delle forme precoci di malattia.”