Dolori diffusi in tutto il corpo, in particolare schiena e cervicale, stanchezza, insonnia, depressione e ansia. La fibromialgia è una patologia insidiosa che colpisce circa 2milioni di italiani, generalmente di mezz’età ma soprattutto le donne in età lavorativa di circa 40 anni, compromettendo fortemente la qualità di vita. Per meglio comprendere questa patologia ancora troppo poco conosciuta è stata condotta una survey quantitativa dall’Istituto Piepoli, in collaborazione con Aisf Odv, con il contributo non condizionante di Alfasigma. L’indagine ha previsto la realizzazione di 1.148 interviste per testare il grado di consapevolezza, conoscere meglio i bisogni e migliorare i percorsi di cura dei pazienti.
È emerso che 1 paziente su 2 affetto da fibromialgia ritiene di avere uno stato di salute “scadente”, a conferma del fatto che si tratti di una patologia di grande impatto sulla vita di chi ne è affetto. Solo il 14% si dichiara in “buono” stato di salute e per appena il 38% è “passabile”. A ulteriore riprova, lo studio rivela che in molti (circa la metà) si sentono limitati persino nel salire un piano di scale, e quasi tutti hanno limitato il lavoro insieme altre attività quotidiane. Il dolore e lo stato emotivo connessi alla malattia determinano infatti limitazioni nel lavoro in 2 casi su 3 e nelle attività sociali nel 56% dei casi. Lo stato emotivo triste non flette in modo rilevante col passare degli anni, come a dire che non ci si “abitua” alla malattia. Ad aggravare il quadro, il fatto che 8 intervistati su 10 si sentano incompresi dagli altri.
“Possiamo definirla una malattia invisibile, non ha un biomarcatore, un evidente danno clinico, non ha una cura”, spiega Giusy Fabio, vicepresidente Aisf. “I pazienti sono considerati malati immaginari, ipocondriaci, visionari e il loro dolore, la loro sofferenza risulta agli occhi degli altri inventata. Anche perché – sebbene sempre più di frequente coinvolga anche gli uomini – a esserne colpite sono spesso donne apparentemente in salute e generalmente di bell’aspetto. Ancora oggi, alcuni medici sostengono che la fibromialgia non esiste, che non è una patologia, ma solo una ‘moda’. L’incomprensione, il non ascolto, non essere capiti, frusta chi ne è affetto, creando un senso di solitudine che piano piano porta il paziente a isolarsi. Ecco che i rapporti si inclinano, il paziente si arrende e diventa totalmente succube della malattia. Servirebbe una campagna istituzionale di comunicazione per rimuovere lo stigma.”
Chi ne soffre, inoltre, anche perché poco sensibilizzato aspetta solitamente molto, anche fino a 5 anni prima di ottenere una diagnosi. I sintomi, oltre al dolore, sono spesso legati alla stanchezza e 9 su 10 soffrono di altre patologie. Circa 6 intervistati su 10 seguono una terapia farmacologica, e ben 8 su 10 assumono diversi integratori. Fortunatamente, nella maggior parte dei casi, l’aderenza alla terapia è buona. “Molti pazienti fibromialgici usano farmaci e integratori che possono aiutarli nel migliorare il tono dell’umore e ridurre la stanchezza e il dolore, sintomi principali della malattia”, spiega Laura Bazzichi, dell’Unità Operativa di Reumatologia, Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. “Particolarmente utilizzata la molecola dell’acetil-L-carnitina, che aiuta tantissimo, migliorando rapidamente l’umore, ristrutturando i muscoli e riducendo il dolore.”
L’indagine rivela che una quota importante dei pazienti (63%) sperimenta terapie alternative e tenta la via dell’attività sportiva regolare, in particolare yoga e pilates. “Una corretta gestione della sindrome fibromialgica dovrebbe prevedere un approccio integrato multispecialistico, basato su quattro pilastri – aggiunge Fabio – come, educazione del paziente, ‘fitness’, inteso come insieme della forma fisica e degli aspetti nutrizionali, farmacoterapia e psicoterapia, in cui un utilizzo appropriato dei farmaci si affianca a un percorso non farmacologico disegnato sulle esigenze del paziente.”
Punto di riferimento principale è il reumatologo (58% degli intervistati), ma è molto ascoltato anche il medico di base, con un livello di soddisfazione non molto elevato (41%). Quelle che invece sembrano mancare sono soprattutto l’empatia e la vicinanza. “Dai dati emerge una propensione dei pazienti ad assumere farmaci per la modulazione del dolore (SSR inibitori della ricaptazione della serotonina e della noradrenalina, triciclici e miorilassanti) che servono anche come regolatori del tono dell’umore (antidepressivi) che, per mia esperienza, vengono di solito accettati a fatica”, prosegue Bazzichi. “È inoltre un bene che il reumatologo venga visto come punto di riferimento, perché molto spesso è lo specialista più indicato per fare una diagnosi differenziale accurata. Affianco a questo però, molti pazienti hanno necessità di trovare anche nel medico di famiglia e in altri professionisti, supporto e comprensione a 360°.”
I caregiver infine sono presenti solo in 2 casi su 10, e di solito affiancano il paziente nelle attività quotidiane e, tra le associazioni, molto nota è Aisf Odv, conosciuta da 2 pazienti su 3. “Un risultato di cui vado fiera, di cui tutta l’Aisf va fiera – conclude Fabio – è la percentuale di quanto l’associazione sia riconosciuta e conosciuta, sicuramente a fronte di un buon lavoro svolto a fianco e a supporto dei pazienti. La survey mostra un quadro completo e ben definito, utile per continuare a seguire alcuni percorsi, iniziarne altri, affinché si possa dare ancora di più, sostegno, aiuto e dignità ai pazienti fibromialgici.”
Il campione intervistato: il 28% ha meno di 44 anni; il 34% ha un’età compresa tra i 45 e i 54 anni; il 31% tra i 55 e i 64; infine, solo il 7% ha più di 65 anni. Provengono prevalentemente dal Sud e dalle isole (36%), nel 26% dei casi dal Nord, e in egual misura (9%) dal Nord Est e dal Centro. Quasi la metà ha ricevuto una diagnosi da oltre 5 anni; solo il 13% da meno di 1 anno e il 2% non ne ha ancora una.