Fibrillazione atriale. Il follow-up a 4 anni rafforza efficacia e sicurezza del trattamento con edoxaban

I risultati del follow-up di 4 anni nella pratica clinica quotidiana rafforzano il profilo di efficacia e sicurezza di edoxaban nel lungo periodo, confermando ciò che il farmaco, di Daiichi Sankyo, aveva già dimostrato negli studi clinici randomizzati in popolazioni di pazienti affetti da fibrillazione atriale. I nuovi dati dello studio osservazionale non interventistico ETNA-AF sono stati presentati in ococasione del Congresso Europeo di Cardiologia ESC 2023, ad Amsterdam. I risultati di un’analisi multivariata dello studio ETNA-AF Europe, che ha coinvolto 13.164 pazienti in 10 Paesi europei, mostrano che il trattamento con 30 mg o 60 mg di edoxaban in pazienti con FA è associato, a 4 anni, a un basso tasso annuo di mortalità per tutte le cause, ictus ischemico e sanguinamenti maggiori. I tassi annualizzati di mortalità per tutte le cause e mortalità cardiovascolare nelle popolazioni totali sono stati rispettivamente del 4,1% l’anno e dell’1,0% l’anno, più elevati nella coorte di pazienti trattata con edoxaban 30 mg rispetto a quella trattata con edoxaban 60 mg. Anche i tassi annualizzati di ictus, attacco ischemico transitorio ed eventi embolici sistemici sono stati bassi (0,6%; 0,3% e 0,1% l’anno) con proporzioni simili in entrambe le coorti di entrambi i dosaggi.

Anche i tassi di sanguinamento maggiore, di emorragia intracranica e di sanguinamento gastrointestinale maggiore sono stati bassi (rispettivamente 0,9%; 0,2% e 0,4% l’anno). Tuttavia, si è registrata una maggiore incidenza di sanguinamento maggiore e di sanguinamento gastrointestinale maggiore nei pazienti trattati con 30 mg di edoxaban, rispetto a quelli trattati con 60 mg. In particolare, questi tassi di eventi più elevati erano potenzialmente dovuti alla popolazione più anziana – con una maggiore fragilità percepita – che riceveva il dosaggio di 30 mg (27,0% di fragilità nei pazienti trattati con 30 mg vs. 6,6% in quelli trattati con 60 mg).

La fragilità è comune nei pazienti con fibrillazione atriale e richiede un approccio personalizzato al trattamento, come indicato nella Guida Pratica della European Heart Rhythm Association EHRA sull’uso dei NOACs (novel oral anticoagulants) nella fibrillazione atriale. Una sotto-analisi nell’ambito dell’ETNA-AF Europe ha evidenziato che sia la fragilità percepita dai medici che quella oggettiva hanno un andamento simile in termini di outcome. Un’analisi della fragilità in ETNA-AF Europe ha mostrato come un numero maggiore di pazienti sia stato percepito come fragile rispetto a quelli che sono stati valutati come oggettivamente fragili attraverso il Modified Frailty Index (10,7% vs 4,1%). In entrambi i gruppi di pazienti, la fragilità è stata associata a comorbilità aggiuntive, tra cui il diabete, l’insufficienza cardiaca e l’ipertensione. Tuttavia, la percentuale di pazienti con comorbilità era maggiore nei pazienti con fragilità oggettiva. Il dosaggio non raccomandato di edoxaban è risultato più spesso prescritto nella popolazione di pazienti fragili rispetto a quella di pazienti non fragili. I dati mostrano che dopo 4 anni di trattamento con edoxaban, anche se il rischio di emorragia intracranica era aumentato nei soggetti fragili, la sua incidenza cumulativa è risultata bassa.

“I dati ETNA-AF a 4 anni rafforzano ancora una volta il beneficio clinico dell’uso dei NOACs nei pazienti affetti da fibrillazione atriale, in particolare in quelli in cui è necessario gestire con attenzione anche comorbilità come diabete, scompenso cardiaco o fragilità, e ciò rappresenta un’ulteriore rassicurazione per la nostra pratica clinica”, dichiara il prof. Raffaele De Caterina, direttore della Divisione di Cardiologia Universitaria dell’Azienda Ospedaliera Universitaria Pisana. “I risultati, insieme agli approfondimenti sul bisogno di una migliore caratterizzazione ai fini del trattamento dei nostri pazienti fragili affetti da fibrillazione atriale, evidenziano la necessità di fondare il processo decisionale sulle linee guida ma di applicarlo in modo personalizzato a ogni paziente che trattiamo.”

“L’ampiezza delle evidenze presentate al Congresso della Società Europea di Cardiologia di quest’anno dimostra la reale necessità di continuare a comprendere i trattamenti al di là degli studi clinici e nell’ambito delle cure di routine”, afferma il dott. Stefan Seyfried, vicepresidente, medical affairs specialty medicines, Daiichi Sankyo Europa. “In Daiichi Sankyo ci impegniamo a condividere i dati scientifici e ad arricchire la conoscenza dei nostri trattamenti e dei NOACs con i Medici, consentendo loro di prendere decisioni informate nell’ambito della pratica clinica, con l’obiettivo comune di ridurre l’impatto della malattia cardiovascolare sui pazienti e sui loro cari.”