Secondo alcuni ricercatori della University of Minnesota, l’assunzione prolungata di farmaci gastroprotettori potrebbe aumentare il rischio di sviluppare demenza nel corso del tempo. L’affermazione è in contrasto con i risultati di un grosso studio, sviluppato sempre da autori americani e reso noto appena 1 anno addietro. Un’analisi recente, che ha coinvolto circa 6mila persone di età media di 75 anni, ha escluso il rischio demenza nei soggetti che avevano assunto gastroprotettori anche per qualche anno; il 10% di coloro che avevano assunto farmaci gastroprotettori (i ricercatori hanno omesso di specificare quali) per più di 5 anni presentava invece segni di demenza. “L’uso a lungo termine è stato collegato in studi precedenti a un rischio più elevato di ictus, fratture ossee e malattie renali croniche”, dichiara una delle autrici, Kamakshi Lakshminarayan. La nuova ricerca ha cercato di capire appunto se l’assunzione di questi gastroprotetori fosse anche collegata a un rischio più alto di demenza. Ed effettivamente, lo studio, pubblicato su Neurology, ha evidenziato che tra coloro avevano assunto farmaci gastroprotettori per più di 4,4 anni il rischio di problemi cognitivi era più alto del +30% circa rispetto ai soggetti cui non erano mai stato somministrati i medicinali. Tuttavia, i ricercatori “sono molto cauti”, come riporta l’Ansa: “La tipologia di studio non permette di dimostrare un rapporto di causa-effetto tra l’assunzione di inibitori di pompa protonica e demenza”. Per contro, un grosso studio americano del 2022, che aveva interessato circa 20mila soggetti di età media 75 anni, aveva rilevato come una terapia prolungata con inibitori di pompa protonica (IPP) e antagonisti dei recettori istaminici H2 non sembrasse aumentare il rischio di demenza né accelerare il declino cognitivo in soggetti anziani; i risultati di questo studio erano stati presentati nel corso della Digestive Disease Week DDW 2022, e indicavano come l’uso di IPP o antagonisti dei recettori istaminici H2 negli anziani non fosse associato a demenza né a lieve deterioramento cognitivo né a declino nei punteggi cognitivi nel tempo, sottolineava il prof. Raaj S. Mehta, del Massachusetts General Hospital e della Harvard Medical School di Boston, primo autore dello studio. Infine, alcune ricerche indicherebbero possibili correlazioni tra l’assunzione prolungata di IPP e ictus, anemia o infarto miocardico. Anche in questo caso, le conclusioni si fondano esclusivamente su studi osservazionali, che quindi non individuano uno specifico nesso di causa effetto tra somministrazione prolungata e le patologie eventualmente riscontrate.
- Cardiologia
- Ematologia
- Epidemiologia
- Farmacologia
- Gastroenterologia
- In Evidenza
- Neurologia
- Notizie
- Tutti gli articoli