
“È possibile vincere oggi l’epatite C? Certamente, iniziando a far emergere il sommerso dei malati”. Tutto questo sembra ovvio e invece ovvio non è; anzi diventa necessario, perché occorre considerare la dimensione generale che supera il pur importante aspetto individuale. “Non ci accontentiamo di far guarire il singolo ma vogliamo andare a ridurre in modo significativo la presenza del virus nella popolazione e arrestare la sua possibile ulteriore diffusione”, dichiara il prof. Massimo Galli, presidente della Società Malattie Infettive e Tropicali (SIMIT). “Il sommerso è nelle persone di età adulta, della mia generazione o antecedente addirittura, quando ad esempio non era stato introdotto il materiale usa e getta per tutte le pratiche sanitarie. Penso anche al periodo in cui non eravamo ancora in grado di rendere sicure le trasfusioni di sangue oppure garantire la sicurezza in sala operatoria, dal dentista o peggio ancora quando era ancora in uso l’infermiera che passava di casa in casa con la siringa da bollire. In tutti questi casi, molte persone hanno contratto e diffuso il virus. Oggi possiamo far saltare fuori questo sommerso ma dobbiamo farlo con una chiamata attiva”, prosegue Galli. “Quindi bisogna rivolgersi a determinate tipologie di persone e classi d’età valutando come farlo regione per regione, per individuare chi ha contratto l’infezione e non lo sa e curarlo. Poi bisogna assicurarsi però che chi sa di essere malato si rechi nei centri predisposti per curarsi. Vanno considerate soprattutto le cosiddette categorie a maggior rischio: persone con storia pregressa o attuale di tossicodipendenza con scambio di siringa, il contesto carcerario, senza dimenticare anche il discorso che riguarda gli immigrati, che rappresentano milioni di individui in Italia con prevalenza di infezione non inferiore a quella degli italiani.”