
Non solo diagnosi più accurate e terapie personalizzate, con conseguenti migliori risultati di salute: un approccio alla cura “gender-specific” potrebbe rivelarsi anche in grado di ridurre alcune prestazioni non sempre necessarie e ottimizzare i processi, aumentando il numero di pazienti presi in carico. Se ne è parlato in occasione del congresso ENDO-DIABE 2025: Medicina di Genere per l’Endocrinologo, organizzato in questi giorni dall’IRCCS MultiMedica e dall’Università Statale di Milano. Nel corso dell’evento sono state affrontate le ultime novità in tema di differenze biologiche e ormonali tra maschi e femmine nel manifestare le malattie e nel rispondere alle cure, focalizzandosi su Endocrinologia e Diabetologia, discipline fortemente influenzate da fattori legati al genere. “La consapevolezza del gender gap nella salute è aumentata molto negli ultimi anni”, dichiara Livio Luzi, direttore del Dipartimento interpresidio di Endocrinologia, Nutrizione e Malattie Metaboliche di MultiMedica, ordinario di Endocrinologia presso l’Università Statale di Milano, responsabile scientifico del congresso. “Sappiamo, ad esempio, come alcune malattie abbiano sintomi diversi tra i due sessi o come alcuni farmaci possano differire nel funzionamento se assunti da uomini o donne. Ora occorre allargare il campo d’azione e iniziare a strutturare interi Percorsi Diagnostico-Terapeutici diversificati a seconda del genere.”
“In una simulazione che abbiamo sottoposto alle Istituzioni competenti, abbiamo ipotizzato di riorganizzare l’Unità Operativa di Endocrinologia di un Ospedale lombardo, introducendo Percorsi Diagnostico-Terapeutici Assistenziali genere-specifici per 3 patologie: osteoporosi, noduli tiroidei e prolattinomi, tutte a maggior prevalenza nel genere femminile”, prosegue Luzi, che è anche membro del Tavolo Tecnico sulla Medicina di Genere di Regione Lombardia. “A fronte di alcuni costi iniziali dovuti alla formazione del personale, all’acquisizione di nuova tecnologia e allo sforzo di rendere gli esami di laboratorio più precisi, abbiamo calcolato diversi vantaggi. Il PDTA maschile sull’osteoporosi, ad esempio, riducendo la necessità di MOC e radiografie, permetterebbe di incrementare del +30% il numero di pazienti gestibili dalla Struttura; quello femminile sui noduli tiroidei consentirebbe di ridurre le tiroidectomie e quello sui prolattinomi di dimezzare il numero di risonanze magnetiche all’ipofisi. Nel loro complesso, i 6 PDTA potrebbero abbattere del 16,9% i costi dell’UO a carico del Servizio Sanitario Regionale, trattando, al contempo, più pazienti e contribuendo a ridurre le liste d’attesa.”
“Un altro ambito clinico in cui si rilevano differenze di genere riguardo a prevalenza, progressione e gestione della patologia è quello della retinopatia diabetica, una frequente complicanza che, in Italia, si verifica nel 6,4% dei pazienti con diabete”, afferma Stela Vujosevic, direttore dell’Unità Complessa di Oculistica, indirizzo Retina Medica, dell’Ospedale San Giuseppe, professore associato presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Chirurgiche e Odontoiatriche dell’Università degli Studi di Milano. “Il sesso maschile è un fattore di rischio indipendente per la retinopatia diabetica avanzata e numerosi studi evidenziano che la malattia, di qualsiasi grado, è significativamente più frequente negli uomini. Queste considerazioni, alla luce anche di una prevalenza del diabete in continua crescita (nel nostro Paese, si prevede possa raggiungere l’8% entro il 2045), fanno comprendere l’importanza di un approccio genere-specifico nella diagnosi e nel trattamento della retinopatia diabetica.”