
Secondo uno studio italiano, quando il coronavirus Sars-CoV-2 provoca un doppio danno al polmone, la mortalità dei pazienti in terapia intensiva aumenta sensibilmente. A sostenerlo uno ricerca coordinata dal prof. Marco Ranieri, direttore della Terapia intensiva al policlinico Sant’Orsola di Bologna e la collaborazione di Franco Locatelli, presidente del Consiglio superiore di Sanità e membro del Cts. In particolare, studiando 301 pazienti di numerosi ospedali è stato osservato che il virus Sars-CoV-2 può danneggiare entrambe le componenti del polmone: gli alveoli, cioè le unità del polmone che prendono l’ossigeno e cedono l’anidride carbonica, e i capillari, i vasi sanguigni dove avviene lo scambio tra anidride carbonica e ossigeno. Quando il virus danneggia sia gli alveoli che i capillari polmonari, la mortalità è di circa il 60% dei pazienti; quando a essere danneggiato è invece un solo componente, scende al 20%.
Il fenotipo, cioè il modo in cui si manifestano le condizioni dei pazienti col “doppio danno”, è facilmente identificabile attraverso la misura di un parametro di funzionalità polmonare (la distensibilità del polmone minore di 40, a fronte di un valore normale di 100) e di un parametro ematochimico (il D-dimero maggiore di 1.800 con valore normale 10). La ricerca è ritenuta di estrema importanza in quanto potrebbe segnare la svolta per individuare rapidamente chi è più a rischio, così da mirare le terapie. D’altra parte, il riconoscimento rapido del fenotipo “doppio danno” consentirà una precisione diagnostica molto più elevata e un utilizzo delle terapie più efficace, riservando a questi malati le misure più “aggressive”. I risultati dello studio sono stati pubblicati su Lancet Respiratory Medicine.