
Negli USA si verificano ogni anno circa 750mila nuove fratture vertebrali da compressione nei pazienti con osteoporosi, e circa un terzo dei pazienti riporta dolore acuto e cronico; in Italia i casi sono circa 100mila. Si tratta di una condizione dolorosa che nella maggior parte dei casi migliora con il tempo e può essere gestita con farmaci analgesici nel breve termine. Tuttavia, i provvedimenti che un tempo venivano dati come efficaci e sicuri oggi sono stati messi in discussione, in quanto i potenziali rischi della vertebroplastica e della cifoplastica a palloncino comprendono fuoriuscita di cemento, fratture adiacenti e effetti collaterali anche più gravi. È quanto emerge da uno studio commissionato dall’ASBMR (American Society for Bone and Mineral Research): secondo la revisione, effettuata da Peter Ebeling, della Minash University di Clayton, la vertebroplastica non produrrebbe alcun miglioramento significativo del controllo del dolore rispetto al placebo; inoltre, sono state riscontrate solo deboli evidenze dei benefici della cifoplastica in un solo studio in cui questa procedura è stata paragonata al trattamento non chirurgico: la prima procedura dunque non risulta efficace, mentre la seconda andrebbe offerta soltanto nel contesto degli studi clinici.
I dati non hanno rivelato evidenze neanche dei benefici immediati dei tutori spinali in seguito a una frattura vertebrale, per quanto alcune evidenze di bassa qualità abbiano suggerito che indossare un tutore per 2 ore al giorno per 6 mesi possa essere d’aiuto. È stato invece dimostrato che l’esercizio è in grado di migliorare la mobilità, ridurre il dolore e la paura di cadere. Lo studio è stato pubblicato sul Journal of Bone and Mineral Research.