Il dolore non può essere misurato come accade invece con la temperatura per mezzo di un termometro. “Chi esce dalle scuole di medicina non ha conoscenza del problema, perché la materia è stata prevalentemente appannaggio di anestesisti e, in parte, dei neurologi e non esiste una specializzazione ad hoc”. A denunciare la carenza di classi di medici addestrati è William Raffaeli, presidente della fondazione ISAL, l’Istituto di Ricerca e Formazione in Scienze Algologiche. Secondo il Ministero della Salute, il 40% dei 12 milioni di italiani che soffre di dolore cronico denuncia di non avere cure adeguate perché non sa a chi rivolgersi. “La scommessa – sostiene il presidente dell’Isal – è convogliare più finanziamenti e pretendere che le Regioni si adeguino alla legge 38. Si deve dare la stessa risposta di fronte a una sofferenza che è uguale per tutti, adeguandosi agli standard europei dove non si soffre meno ma si soffre ‘meglio’”. Anche0\ nell’Ue il dolore cronico colpisce un cittadino su cinque, ma l’accesso alle terapie è più semplice, a cominciare da oppioidi e cannabinoidi. Si tratta di un’emergenza globale con un impatto sui sistemi sanitari da 300 miliardi di euro l’anno. Ma anche presso gli antichi romani le cose non andavano meglio. “Gli antichi romani erano abituati a vivere e lavorare convivendo spesso con patologie dolorose ed invalidanti. Oggi è impossibile anche solo pensare di vivere con quelle sofferenze fisiche”. È così che Andrea Piccioli, ortopedico-oncologo e segretario della Società Italiana di Ortopedia e Traumatologia (SIOT), ha spiegato all’AGI il frutto di un ampio studio condotto su oltre 2mila scheletri di individui vissuti nella Roma imperiale (I-III secolo d.C.), provenienti dalle varie campagne di scavo delle necropoli suburbane della Capitale. Il lavoro è stato racchiuso in un volume intitolato “Bones Orthopaedic Pathologies in Roman Imperial Age”, presentato in questi giorni a Roma.
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