La caviglia è l’articolazione più spesso interessata da distorsioni, sia nel contesto dell’attività sportiva (40% circa dei casi) sia durante le comuni attività quotidiane (camminare, scendere dalle scale, correre per non perdere l’autobus, appoggiare il piede per fermarsi con la bicicletta o lo scooter ecc.); nella maggioranza dei casi, il legamento danneggiato è quello laterale. Gli sport a più elevato rischio di distorsione della caviglia sono i giochi di squadra che prevedono movimenti rapidi e/o l’interazione diretta con gli avversari (calcio, rugby, pallacanestro, pallavolo, tennis ecc.), l’atletica (in particolare, le discipline che contemplano corsa e salti), l’arrampicata, la ginnastica artistica e la danza.
Altri fattori che aumentano la probabilità di una distorsione di caviglia sono di tipo “intrinseco”, ossia legati alle caratteristiche dell’articolazione e alla propriocezione, la capacità individuale di visualizzare mentalmente la posizione di una parte del corpo nello spazio. Un’elevata mobilità della caviglia, di norma associata a una certa lassità legamentosa, e una ridotta capacità di controllare (in modo automatico) posizione e movimento della caviglia e del piede aumentano notevolmente il rischio di andare incontro a storte e distorsioni.
Nella maggior parte dei casi, le distorsioni acute della caviglia possono essere di grado 1, quando sono stabili meccanicamente o di grado 2, se esiste una lassità legamentosa. Comunque sia, spesso ne consegue un deficit funzionale articolare che si protrae nel tempo. Di frequente, in queste condizioni si ricorre alla terapia fisica, ma i suoi risultati sono controversi. Alcuni ricercatori canadesi hanno arruolato 504 pazienti (di età compresa tra 16 e 79 anni) con distorsione acuta di caviglia risalente al massimo a 72 ore. I soggetti sono stati randomizzati alla terapia solita (valutazione medica e istruzioni per la gestione a domicilio: riposo, ghiaccio, fasciatura compressiva) oppure alla solita terapia con l’aggiunta di una terapia fisica (sette sessioni di mezz’ora l’una con l’aggiunta di un programma di esercizi da effettuarsi a domicilio). Mediante analisi intent-to-treat, la proporzione di pazienti che ha riferito un eccellente recupero della funzionalità dopo 3 mesi è stata del 37% nel gruppo della terapia abituale e del 43% nel gruppo dell’intervento con terapia fisica (una differenza non statisticamente significativa). Non si sono registrate differenze significative tra i due gruppi nemmeno dopo 1 mese né dopo 6 mesi. E neppure ulteriori analisi di sottogruppo, basate sull’età e sul sesso, hanno fatto emergere differenze, così come sono risultati simili tutti i parametri di funzionalità articolare controllati.